

Questo CD fresco di stampa, "Reger - Schumann - Brahms. Mentors", pubblicato dall'etichetta discografica Da Vinci Classics, con Gaia Gaibazzi al clarinetto e Clarissa Carafa al pianoforte, risveglia in me teneri ricordi di giovinezza. Una sorta di macchina del tempo mi riporta indietro negli anni agli studi di clarinetto, io stregato da questo strumento che tanto mi ricordava la voce umana. Il metodo di studio Lefèvre, lo strumento Borgani prima poi un nobile Buffet Crampon acquistato dai miei genitori dopo le mie tante insistenze, il problema del bocchino: meglio quello di ebanite o cristallo? Non si era a quei tempi (parliamo di ben oltre quarant'anni fa) ancora arrivati al titanio. Il problema delle ance, sempre rigorosamente Vandoren, per quelle che suonavano meglio tentavo di porre rimedio all'usura con un taglia ance. Un'autentica ventata di reminiscenze che non t'aspetti mi ha investito, accompagnata dal sentimento dolce-amaro di una storia spezzata. Un'altra memoria, molto più recente, è la presa di contatto con l'arte di Gaia Gaibazzi, che conobbi personalmente nel corso del concerto "Sulle ali del canto", il 25 ottobre 2020 a Varallo Sesia, in occasione della 40^ edizione del festival Musica a Villa Durio, un bellissimo evento che certamente ritornerò a frequentare.
Ancora più fresca è l'intervista che Gaia ha avuto la gentilezza di concedermi, risalente al dicembre dell'anno scorso, dove, sollecitata dalle mie domande, ha affrontato diverse importanti tematiche inerenti al suo strumento (in realtà sono due, suonando lei anche il clarinetto basso) e musicali. Un cerchio che sembra chiudersi oggi con questo stupendo CD, in cui lei si conferma come una delle più interessanti interpreti del panorama clarinettistico internazionale. La sua è una biografia notevole, della quale vi do qualche cenno, musicalmente iniziata a dieci anni, quando cominciò a cimentarsi con il clarinetto. Il conseguimento del diploma con lode arrivò nel 2015 presso il Conservatorio "Niccolò Paganini" di Genova, seguito nel 2017 da quello del Master in Music Performance e nel 2019 il Master in Music Pedagogy presso la Zürcher Hochschule der Künste, qui ha studiato clarinetto con Fabio Di Càsola e clarinetto basso con Bernhard Röthlisberger e Filipa Nunes. Attualmente sta frequentando un dottorato di ricerca in Music Performance Research presso l'Università di Aveiro e continua gli studi dell'amato strumento presso l'Accademia "Scatola Sonora" di Roma, sotto la guida del Maestro Calogero Palermo.
La sua carriera concertistica l'ha portata a esibirsi in alcuni dei teatri più prestigiosi d'Europa, si è distinta come solista e membro di rinomate orchestre, tra cui il Giraud Ensemble, la ZHdK Orchestra, l'Arc-en-Ciel Ensemble, la Jugend Sinfonieorchester Zürich e altre. Invitata a partecipare a numerosi festival, è stata premiata con numerosi riconoscimenti, tra cui tre primi premi: il Klang & Gloria Wettbewerb di Zurigo nel 2016, il Concorso di Musica G. Ratto in Italia e il Concorso Musicale Virginia Centurione. In qualità di musicista da camera, è membro di gruppi strumentali come il Liv Quartet e il Trio Zefiro. Collabora regolarmente con compositori di Zurigo, registrando musica contemporanea e colonne sonore, e dal 2015 partecipa al Prélude Konzert Festival della Tonhalle di Zurigo, dove ha eseguito opere di Jörg Widmann, Béla Bartók e Matthias Pintscher. Ora insegna presso la Musikschule Würenlos e collabora con il Konservatorium di Zurigo. Non me ne vorrà la bravissima pianista Clarissa Carafa se confesso di averla conosciuta soltanto oggi, proprio in occasione dell'uscita di questo disco.
Leggo dal suo curriculum che si è formata sotto la guida di Gianluigi Bruera e Marco Vincenzi, diplomandosi con il massimo dei voti, lode e menzione d'onore al Conservatorio "N. Paganini" di Genova. Vincitrice di vari premi in concorsi nazionali e internazionali, come il Concorso Pianistico Internazionale di Moncalieri, il Concorso Internazionale "Marcello Pontillo" di Firenze e il Concorso Pianistico Nazionale "Mario Fiorentini" di La Spezia. Ha inoltre tenuto concerti per prestigiose stagioni musicali come il Festival dei Due Mondi di Spoleto e altre importanti istituzioni. Avviene a un certo punto che la vita delle nostre due artiste s'incrocia: partite dalla base comune del diploma al Conservatorio "N. Paganini" di Genova, proprio dov'è avvenuto il loro primo incontro, hanno dato vita a un duo cameristico che ha riscosso un notevole successo di pubblico e di critica. La classe non è acqua si dice in questi casi, e Gaia e Clarissa ne hanno da vendere, mostrando in questo loro progetto discografico d'esordio due personalità diverse che si bilanciano completandosi a vicenda, nulla di più propizio se parliamo d'interpretazione della musica romantica. La mia impressione è confortata dalla visione di alcuni video su YouTube.

Gaia Gaibazzi
Ce n'è uno dove Clarissa al momento della ripresa aveva solo otto anni ed eseguiva un preludio Johann Sebastian Bach al saggio finale del suo secondo anno di studio. In un altro di anni ne aveva quattordici e interpretava con notevole tempra il virtuosistico Rondò brillante di Carl Maria von Weber. Si evince una personalità brillante, con dei tratti di nervosità, quasi suggestiva se vogliamo della figura romantica di Florestano, mentre più morbida, ubertosa appare l'indole della clarinettista, più vicina forse al carattere dell'altro pseudonimo schumanniano, quell'Eusebio dall'animo introverso e riflessivo che fa da contraltare a Florestano. In questo CD le due strumentiste nella loro diversità caratteriale riescono a vivificare in modo armonioso il tragitto musicale segnato dalle composizioni dei tre illustri autori, manifestare il loro essere aderenti a una poetica "bifronte", da una parte devota alle forme tradizionali e dall'altra tesa ad ardite innovazioni, "fin de siècle" riguardo Max Reger, quelle che in buona sostanza saranno prodrome del '900. I grandi autori prescelti, Robert Schumann, Johannes Brahms e Max Reger, sono altamente rappresentativi del mondo romantico nella sua ricchezza d'accenti, nella sua intrinseca complessità, declinato nelle sfaccettature delle visioni individuali.
È su questo fertile terreno che il pianoforte e il clarinetto hanno modo di maturare i frutti delle loro vaste potenzialità espressive. Per questo risultano particolarmente idonei a incarnare composizioni di tale intensità, anche rivelatori del discrimine poetico generato dal diverso temperamento dei tre autori, che si stimavano ed erano legati da amicizia. L'Albumblatt WoO II/13 di Max Reger è in tal senso un eccellente cappello introduttivo a questo proteiforme progetto discografico, dove il fattore femminilità non va a mio parere sottovalutato. Nei frangenti più carezzevoli e introspettivi ci si sente quasi trasportati in un alveo materno, in altri le eventuali spigolosità non feriscono l'ascoltatore poiché anche nei momenti più febbrili non si perde mai quella fascia ideale di canto generoso ed espansivo, vero filo conduttore delle tredici tracce. Di Max Reger vengono colti i peculiari aspetti di fusione tra i metodi compositivi barocchi e quelli classici, distillati in un nuovo linguaggio armonico e incline al cromatismo di stampo tardo-romantico. È un idioma che il nostro duo esprime in maniera limpida, senza mai scadere in quelle eccentricità fini a se stesse che sono paventabili in quest'autore.
Procede scorrevole quest'Andante con moto, per afflato intimistico più vicino a Brahms che all'autore che segue, Robert Schumann, con i suoi Phantasiestücke Op. 73. Chiamati in origine Soireestücke, furono scritti nel 1849, nel pieno di un primaverile e carico di aspettative clima romantico, non dalla luce crepuscolare come il brahmsiano o contaminato in Reger da inquietanti complessità cromatiche che preludono alla temperie novecentesca. Il duo è qui impegnato in un compito che assolve esemplarmente, quello di ricreare il clima riservato, intimo e confidenziale della "Hausmusik", di cui questa composizione rappresenta la quintessenza. Una musica domestica che ai tempi era parte importante della vita musicale tedesca, trasmutatasi in altre sembianze fino ai nostri giorni in qualità di archetipo espressivo. Nei tre movimenti di "Zart und mit Ausdruck", "Lebhaft, leicht" e "Rasch", mit Feuer le due artiste sviluppano un discorso il cui candore è solo in apparenza elementale, in realtà i richiami tematici interni sono sottilmente variati, come conservata è la sensazione di un ammirevole equilibrio nella scrittura strumentale di un autore che era attentissimo ai particolari espressivi. Con arte sottile scandagliano un brano che è unico ma diviso in tre sezioni romanticamente contrastanti.

Clarissa Carafa
L'indiscutibile abilità tecnica di Gaia e Clarissa ha qui buon gioco nella delineazione di un itinerario piuttosto accidentato da progressive accelerazioni di tempo, dai tipici soprassalti umorali di Schumann, il quale passa da un iniziale malinconico lirismo ai fremiti della sezione centrale, per poi approdare all'impeto dell'apoteotica conclusione. Un ulteriore particolare che non deve sfuggire all'ascoltatore, e le nostre interpreti fanno di tutto affinché ciò non accada, è dare rilievo a quella superba capacità miniaturistica in cui Schumann eccelleva, un elemento che affiora nel delicato dialogo strumentale, nella calibrata stratificazione e incastro dei frangenti strumentali ed espressivi. Quel lindore, quella genuina immediatezza che con tale evidenza si può percepire è in verità "ingannevole" poiché presuppone a monte una tecnica assai smaliziata, frutto di una ferrea disciplina atta a gestire con accuratezza tutti i parametri esecutivi, come per esempio la dinamica, che di rado in questa registrazione viene portata all'estremo, a parte forse nella sonata brahmsiana, dove vengono colti con singolare acume i crepuscolari contrasti chiaroscurali. Un brano per certi versi enigmatico è la Tarantella in sol minore: I. Äußerst lebhaft di Max Reger, fa da spartiacque con la sonata brahmsiana.
Qui l'autore sembra sfoltire lo spessore della trama musicale, l'aggrovigliato contrappunto, a favore di una maggior freschezza, anche se non intende rinunciare a un futuristico tenore armonico. Nelle note di copertina la stessa clarinettista ci fornisce la chiave della lettura, evidenzia la vivacità della tarantella nella sua fisionomia di danza italiana meridionale. È un pezzo composto nel 1902 che rappresenta molto bene la combinazione di forme classiche con quelle innovazioni idiomatiche che caratterizzano il tardoromaticismo, filtrate dalla peculiare sensibilità di Reger. È un brano, afferma Gaia: "Particolarmente notevole nel repertorio del clarinetto e del pianoforte per le sue esigenze tecniche e il carattere energetico. La parte del clarinetto richiede agilità e precisione, con passaggi rapidi e ritmi intricati che riflettono la natura frenetica della danza. Nel frattempo, il pianoforte fornisce un accompagnamento vibrante e altrettanto impegnativo, creando un'interazione dinamica tra i due strumenti." Le asperità tecniche indubbiamente ci sono, le troviamo nei repentini gruppi di sei semicrome, eseguite in modo fulmineo, o nelle complicazioni figurative che appaiono in prossimità della fine.
Una parte centrale (Grazioso) piuttosto rarefatta spezza il tumultuoso fluire ritmico, che di lì a poco comunque riprende nel "a tempo". Con un pizzico di fantasia fa pensare ai movimenti preparatori, tra cui la "pagaia", che il gatto fa con le zampe posteriori per preparare i muscoli al balzo. L'incipit del brano è, infatti, furtivo, sornione, pare raccogliere le forze per poi successivamente scatenarle. In un impegno paritario con il clarinetto, anche il pianoforte è obbligato a notevoli salti ritmici ed espressivi, non facili, che movimentano energizzando il tutto. Davvero notevole in tal senso si rivela l'affiatamento del duo cameristico, in questo come pure negli altri brani che compongono il CD. Così come Mozart fu affascinato dalle doti esecutive di Anton Stadler, o Carl Maria von Weber da quelle di Heinrich Baermann, analogamente il virtuoso Richard Mühlfeld, primo clarinetto dell'orchestra ducale di Meiningen, impressionò Brahms con le sue doti, spronandolo a riprendere in mano quella penna che lui aveva deciso in tarda età di deporre e chiudere in un cassetto. Non sono certo isolati casi del genere nella storia della musica. Il genio tedesco allora si rimboccò le maniche e scrisse per lui delle composizioni sublimi come il Trio Op. 114, il Quintetto Op. 115 e le due Sonate Op. 120.
L'autore aveva tenuto a precisare come insieme al pianoforte potesse essere indifferentemente impiegato il clarinetto o la viola, per le loro evidenti affinità timbriche e potenzialità espressive. Notevole, manco a dirlo, l'impegno che questa Sonata Op. 120 N. 1 richiede agli esecutori, qui il nostro duo dà fondo alle sue risorse, proteso a ricreare quel "climax" malinconico e introverso che coincideva con la condizione esistenziale di Brahms, presago dell'avvicinarsi della morte, avvenuta a Vienna il 3 aprile 1897. Non certo un'illazione, visto che l'autore stesso aveva scritto all'editore Simrock dicendo: "Comprenderà, immagino, le ragioni per le quali ho apposto la parola fine alla mia attività creativa e del resto l'ultimo dei Volkslieder, nel raffigurare un cane che si morde la coda, allude simbolicamente proprio a tale concetto, nel senso che la vicenda ormai è conclusa". Si sviluppa allora una dialettica a tratti frammentata, interrotta da trasalimenti, icastiche esclamazioni e momenti di approfondimento che conducono l'animo in direzione di un cupo fondo nero, un abisso la cui visione spaura il cuore. Una grande prova da parte di Gaia e Clarissa, impegnate allo spasimo nell'esternazione di un linguaggio complesso, nell'olografare un paesaggio interiore a tratti raggelante.
Protagonista il canto caldo e profondo dello strumento ad ancia, con le sue improvvise impennate e il luminoso cantabile. Con sorpresa dell'ascoltatore, dopo le estreme tenerezze, screziate da rapide ombre dolenti, dell'Andante un poco Adagio, seguono due movimenti dal carattere contrapposto ai primi due. Spiccano il volo aerei, azzurrini e lieti. Da una parte c'è l'Allegretto grazioso con il suo carattere ondulante di scherzo, il quale pare riproporre in chiave più spensierata le incantevoli dolcezze dell'Adagio. Incedono le deliziose volute del "grazioso e dolcissimo sempre", movimentate dalla parte centrale del Trio, dove si affaccia lo stravagante ritmo sincopato del pianoforte e i due strumenti si passano galantemente la mano. Si giunge alla fine di quest'epopea con il Finale (Vivace) in fa maggiore, un rondò che ha in comune con il tempo precedente il carattere estroverso, la premura di accogliere il "grazioso", "leggiero", "dolce", "semplice", tutte indicazioni presenti in partitura. Una grande prova interpretativa che, nello sforzo di abbattere ogni velo separatore tra la scrittura e l'animo di chi ascolta, è arrivata a commuovermi.
Nel movimento lento si verifica una singolare comunanza di accenti tra i due strumenti, il clarinetto si esprime in morbide volute, sorretto da un pianoforte talmente dolce, impalpabile, che fa vacillare le mie congetture sull'accostamento delle figure di Gaia Gaibazzi/Eusebio e Clarissa Carafa/Florestano. Sentendo questa musica sublime viene naturale pensare alla significativa affermazione che Brahms fece a proposito dei suoi Intermezzi Op. 117, dove: "Anche un solo ascoltatore è di troppo". Qui realmente si crea una relazione "intima" tra la musica, chi la suona, e chi dall'altro lato l'ascolta. Di schietta suggestione brahmsiana è la Sonata in La bemolle maggiore Op. 49 N. 1 di Max Reger, conclusiva del CD Mentors. Un'opera certamente geniale, emblematica della profonda ammirazione che Max Reger nutriva per il mentore Brahms, nel senso più autentico di consigliere saggio e fidato, cui viene riconosciuta una sorta di autorità paterna. Un epigono? Niente affatto perché il compositore s'ispira non supinamente al dettato brahmsiano, ne coglie l'afflato poetico prendendolo a spunto per l'espressione della sua personalità innovatrice, non epidermicamente quindi. Fonde alchemicamente con esso le sue inconfondibili arditezze armoniche.
Johannes Brahms entra dunque a pieno titolo nella genesi dell'Op. 49 poiché fu proprio l'ascolto delle due sonate per clarinetto di Brahms a ispirare Reger nella sua, che tuttavia si distacca dal modello originale per una maggior espansione ed elucubrazione del fraseggio, per l'indefessa ricerca del tratto innovativo. La voglia di una temerarietà ancora maggior pare tallonare l'autore nel Larghetto (ma non troppo un poco con moto), dotato di rara intensità, con zone di rarefazione e successivi addensamenti che in alcuni momenti rasentano il balzano. Scampoli francamente diabolici vengono in superficie nel conclusivo Prestissimo assai, con il suo ondeggiante procedere a elastico. Gaia Gaibazzi e Clarissa Carafa s'impongono in questa pregevolissima registrazione come interpreti di alto livello, mai disposte a sacrificare la loro arte in favore di una superficiale fruibilità dei contenuti musicali. Anzi, avviene esattamente l'opposto in quanto sulla base del loro valore individuale, della profonda compenetrazione tra eccellenza tecnica ed espressiva, riescono a trasmettere con grande tersezza il messaggio dei tre mentori, rendendo alla fine "facile" l'ascolto. S'instaura così una corrente alternata tra loro e chi ascolta, in un generoso travaso che rende possibile catturare la parte più autentica e umorale di questi capolavori.
Molto buono il livello tecnico della ripresa sonora, naturale e privo d'invasivi interventi di editing. Il disco è stato registrato nel novembre 2023, produttore David Feldman, ingegnere del suono Corrado Ruzza. Di Gaia Gaibazzi sono le preganti note di copertina. In ultimo, non va dimenticata la preziosa opera di Michele Carraro, accordatore del pianoforte. Fotografie di David Feldman e Corrado Ruzza.
Alfredo Di Pietro
Aprile 2025