DISCHI E TASTI
DIALOGHI DISCOGRAFICI E PERIPEZIE PIANISTICHE TRA I CIMELI DEL MONDO TEATRALE.
A CURA DI LUCA CIAMMARUGHI
Luca Ciammarughi è oggi una figura importante del panorama culturale italiano. Impersona innanzitutto la negazione di un'opinione, credo piuttosto diffusa, che vede la cultura portata avanti da uomini di pensiero "tout court", cioè persone alle quali la fatica fisica propriamente detta è ignota. Nulla di più sbagliato, posto che il pensare talvolta stanca più dell'agire stesso. La vita di un artista, e nella figura di Ciammarughi si assommano quella di pianista, divulgatore, conduttore radiofonico e scrittore, non è esattamente il massimo della tranquillità. Fra continue trasferte, l'accavallarsi d'impegni, recital pianistici (si dice che A.B. Michelangeli perdesse due chili per ogni concerto), conferenze e quant'altro, occorre davvero essere dotati di un'energia fuori dal comune. Lui sta probabilmente vivendo gli anni più intensi della sua vita, soprattutto da quando ha ottenuto la docenza di pianoforte per un anno all'Istituto Superiore di Studi Musicali "Rinaldo Franci" di Siena. Non pago di questa frenetica attività, gli è piaciuto inaugurare nel febbraio di quest'anno la rassegna "Dischi e tasti", lo ha fatto con il primo evento, la presentazione del disco Facets, Stradivarius, con la pianista partenopea Mariangela Vacatello. Sette appuntamenti, dal 23 febbraio al 4 luglio, che si propongono di profilare alcune delle più rilevanti novità discografiche attraverso il dialogo con gli interpreti, insieme a una più ampia riflessione sul significato del CD nell'odierno panorama artistico e sociale. Da audiofilo d'antan, non posso che caldeggiare questo proponimento, concordando con Dischi e Tasti sull'importanza che ancora rivestono i supporti fisici nell'era della musica liquida.
Non fosse altro che per una questione di feticismo, il contatto fisico con il dischetto argentato, piuttosto che con il vinile, crea un'atmosfera che predispone all'ascolto. Tutt'altra cosa avviene con la musica cosiddetta liquida, quella cioè fruibile senza un tradizionale supporto fonografico, che può essere un CD, vinile o nastro. Un disco, tra l'altro, è ben diverso da un evento dal vivo, con tutti gli imprevisti del caso e il valore insostituibile dell'hic et nunc. Il CD, perché è di questo che parliamo, è un qualcosa di già avvenuto e fissato una volta per tutte, spesso guidato dall'assillo parnassiano per la forma perfetta. Sono stati quindi prescelti una serie di titoli adeguati a quello scrigno prezioso che è la Sala Esedra del Museo Teatrale alla Scala, istituzione museale privata situata nel Casino Ricordi, nelle immediate adiacenze del Teatro alla Scala. Sala gloriosa che conserva una ricca collezione di dipinti legati al mondo dell'Opera lirica e del Teatro in generale, bozzetti scenografici, lettere, ritratti, autografi e strumenti musicali antichi. Ma qui protagonista è il pianoforte e quello presente in Sala Esedra è uno tra i più illustri possibili, appartenuto a Franz Liszt. Sul telaio in ghisa si legge "Steinway & Sons - Overstrung Scale - PAT Dec 20 1859-May 28 1872" In questo augusto spazio si celebrano le figure più importanti e rappresentative di una delle tecniche di canto più rinomate, il cosiddetto "Bel canto", non a caso sono presenti i dipinti raffiguranti le prime donne della stagione ottocentesca della Scala, avvolte in costumi da eroine classiche; parliamo di nomi come Giuditta Pasta, Isabella Colbran e Maria Malibran.
Ma è lo Steinway & Sons che cattura immediatamente la mia attenzione. Fu donato a Liszt nel 1883 dalla ditta costruttrice, oggetto nel 2011 di un accurato restauro che l'ha riportato al suo originale splendore. Proprio in occasione del suo termine, avvenuto il 10 ottobre 2011, fu presentato alla stampa con un concerto tenuto alla presenza del maestro Michele Campanella. Si racconta che Liszt amasse molto questo pianoforte, che diceva fosse un "grandioso capolavoro di forza, di sonorità, di qualità di canto e di effetti armonici perfetti". Lo custodì gelosamente a Weimar, nella casa della baronessa Olga von Meyendorff, sua amica e confidente e divenne poi il regalo di nozze per sua nipote Daniela von Bülow, figlia di Cosima Liszt. Ma veniamo alla cronaca di questo pomeriggio in musica. Avvenuto in una sala quasi completamente piena, l'incontro del 23 maggio prosegue idealmente quello dedicato agli Anni di pellegrinaggio (Années de pèlerinage), una serie di tre suites per piano solo composte da Franz Liszt, protagonista un grande interprete dei nostri tempi: Francesco Libetta. Lì il panorama storico gravitava intorno agli anni '30 dell'Ottocento e l'intento dichiarato era di esaminare la produzione pianistica del grande compositore ungherese. L'evento di oggi procede invece più verso gli anni '40, protagonisti per l'occasione Monika Lukács, soprano ungherese (ma ormai italiano di adozione) e il pianista Stefano Ligoratti, i quali hanno inciso il bellissimo CD "Franz Liszt - Freudvoll und Leidvoll - 14 Lieder for voice and piano", etichetta Da Vinci Classics, oggetto della presentazione.
Questi Lieder sono ancora oggi percepiti come delle rarità, nonostante ci siano alcune registrazioni disponibili, in realtà non tantissime come per quelli di Schubert, Schumann o Brahms, ma certamente autorevoli, risalenti al Novecento, come la versione di Dietrich Fischer-Dieskau e quella di Brigitte Fassbaender. Ma è soprattutto nel 2011, in occasione del bicentenario della nascita di Liszt, che c'è stato un profluvio di registrazioni, tra le tante Ciammarughi cita quelle di Matthew Polenzani e Jonas Kaufmann. Si è manifestato insomma un certo ritorno d'interesse verso dei Lieder per lungo tempo trascurati, troppo trascurati perché l'immagine di Franz Liszt è stata cristallizzata in quella del grande virtuoso di pianoforte, un artista itinerante, anche se tale lo fu soltanto per circa dieci anni, dal 1839 al 1850. Gli anni splendidi delle tournée europee, in cui lui accendeva le folle. È accaduto che l'immagine superomistica, quasi sovrannaturale del virtuoso trascendentale, ha un po' mascherato altri aspetti, non meno rilevanti, di quest'uomo faustiano, il quale incarnò la figura non solo di uno straordinario musicista ma anche di un "culturmensch" dall'esistenza avventurosa. Lui davvero era in grado di abbracciare tutti i saperi, dalla letteratura antica a quella italiana, Dante, Petrarca, i contemporanei, Lamartine, Hugo, la cultura tedesca. Da cosmopolita, aveva un'eccezionale capacità di muoversi da una lingua all'altra; testimone è proprio la sua produzione di Lieder, scritti in tanti idiomi diversi: cinquantasette in tedesco, una manciata in italiano, una quindicina in francese, di cui otto su testo di Victor Hugo, uno in russo, uno in inglese, tre in ungherese.
Un uomo che, tuttavia, nella sua straripante energia sapeva anche cogliere gli aspetti più eterei e spirituali non solo della musica ma anche dell'esistenza. Tra l'altro nel 1865 prese gli ordini minori. Qualcuno vide in questa decisione un atto d'ipocrisia rispetto alla vita demoniaca, quasi luciferina, che aveva condotto dal punto di vista erotico. Ma lui vinse la perigliosa scommessa identitaria della convivenza tra angelo e diavolo. Su questo e altri argomenti il complesso evento di stasera intende svilupparsi, nella forma di discorso tra Luca Ciammarughi, curatore e conduttore della rassegna, Monika Lukács e Stefano Ligoratti, arricchito dall'esecuzione di alcuni estratti "live" da un CD che comprende quattordici dei settantasei Lieder composti da Liszt. Il primo ascoltato è quello che dà il titolo all'album, Freudvoll und Leidvoll (Pieno di gioia e pieno di dolore), emblematico di quel dualismo emotivo che deve molto a Franz Schubert, il quale disse "Quando volevo cantare l'amore, cantavo il dolore. Quando volevo cantare il dolore, cantavo l'amore. Così mi divisi fra il dolore e l'amore." Questa sorta di dissociazione emotiva, che è poi anche una simbiosi, tra questi due opposti sentimenti, la troviamo anche in Franz Liszt. Il Lied è su testo di Goethe e recita: "Pieno di gioia e pieno di dolore, essere pieno di pensieri; tendere verso qualcosa e avere paura in una pena che va e viene; gioioso come chi tocca il cielo, accasciato fino alla morte; felice soltanto è l'anima che ama." Stefano Ligoratti suona sul pianoforte che fu del compositore ungherese, un valore aggiunto non da poco che rende ancor più emozionante la sua esecuzione.
Il passaggio continuo dalla tonalità minore alla maggiore vuole sottolineare la valenza del titolo, e verso principale, di questo Lied goethiano. Dall'album prende le mosse un programma eseguito anche a Budapest e Stoccarda, con repliche che seguiranno a Roma, Parigi, Lubiana. Un impegno molto importante per Monika Lukács, soprano ungherese nata a Miskolc e diplomatasi con il massimo dei voti proprio a Budapest, presso il Conservatorio S. Stefano. A fianco di una prestigiosa carriera d'interprete, oggi lei corona il sogno di diventare divulgatrice di un compositore la cui produzione è tutto sommato meno conosciuta di quanto si possa pensare. Lei stessa la sta pian piano scoprendo. La sua mente va a tanti anni addietro, quando aveva suonato al pianoforte, in conservatorio, le prime tre Consolations S 172, ma non aveva mai affrontato la produzione liederistica. Poi ha avuto la fortuna a Milano di conoscerla un po' meglio, felice di poter fare musica da camera. Ricorda con affetto la sua magnifica insegnante, Stelia Doz (presente in sala), con la quale nel 2005 si è laureata in Musica Vocale da Camera. Nell'ambito dei lieder gli ha davvero insegnato tanto, inducendola ad avviare una ricerca su queste composizioni non largamente conosciute, anche se alcune sono famose per la loro intimità, sostenuta dal pianoforte, e altre per una spiccata teatralità che si manifesta negli arioso o nei recitativi. Si dichiara innamorata dei Sonetti di Petrarca, anche se di solito li cantano i tenori, pronta a cimentarsi con questi, per esempio con "Pace non trovo et non ò da far guerra", per poi presentarli nei prossimi concerti.
Monika Lukács è convinta che Liszt non fosse solamente un grande virtuoso del pianoforte poiché, conoscendo gradatamente pure il suo repertorio sinfonico, ha trovato la Dante-Symphonie una composizione meravigliosa, dov'è presente l'inferno con gli ottoni e il Magnificat con le voci bianche. Parliamo di un uomo di cultura in continuo itinere, che in dieci anni aveva conosciuto ben centosessantasei città, superando in questo lo stesso Paganini, all'epoca il più grande violinista del mondo, impegnato in una moltitudine di concerti. Le cronache dell'epoca testimoniano che il pubblico andava in estasi quando suonava Liszt, a causa del suo fascino e dello straordinario virtuosismo allo strumento. Cosmopolita eccentrico, nei Lieder si espresse in una grande varietà di stili, concetto invero cruciale nella sua produzione, che risulta estremamente multiforme, decisa a voler abbracciare tutte le formule musicali, tutte le lingue, come lui agognava toccare ogni sapere e cultura in un esempio di personalità quasi neorinascimentale. È interessante leggere quello che Franz Liszt stesso scriveva negli anni delle sue grandi tournée europee, quegli anni '40 dell'Ottocento in cui condusse una vita veramente rocambolesca, spesso in viaggio sui cosiddetti vagoni Offenbach, molto lussuosi, delle vere e proprie stanze che potevano diventare salotto, camera da letto o qualsiasi altra cosa. In questa sua esistenza molto faticosa, il compositore trovò il tempo di dedicarsi anche ai Lieder, definendoli come "Momenti strappati alla mia vita esteriore, ma sempre inevitabili, in cui l'emozione e la fantasia mi spingono ineluttabilmente a scrivere."
In queste composizioni sovente rintracciamo la parte più introspettiva, forse non la più vera, ma sicuramente la più profonda del compositore. Grande uomo di spettacolo, Liszt fu colui che ebbe il merito d'inventare il recital per pianoforte. Sappiamo da un aneddoto molto interessante che lui si trovava a Roma quando per la prima volta tenne un concerto per pianoforte solo, da quel frangente comunemente inteso come "recital". Prima di allora, nel '700 e nel primo '800, erano in voga le Accademie, nel corso delle quali si alternavano momenti di canto, strumentali, anche sinfonici, la stessa cosa avveniva nelle esibizioni che davano Mozart e Beethoven. Franz Liszt propose quindi al pubblico romano un concerto per pianoforte solo, cosa che sulle prime lasciò tutti perplessi in quanto tenuti a pagare il biglietto per poter ascoltare "solo" un pianista. Tali perplessità però si dileguarono quando il pubblico si accorse che il pianista aveva nelle sue mani un'orchestra intera e tutte le voci (soprano, tenore e altre), forte di una tecnica che aveva sviluppato anche attraverso l'uso del peso, della gravità affrontata in un certo modo, portando a termine una vera e propria rivoluzione che doveva molto anche a Chopin e Paganini. Così era giunto a sviluppare un qualcosa prima assolutamente inconcepibile, un pianoforte che in questi Lieder è spesso sorprendente. Secondo la visione di Luca Ciammarughi, quando pensiamo alle sue parafrasi d'opera, ci vengono subito in mente una marea di note, una multifonia in cui mille piani sonori si sovrappongono, ma nei Lieder ci troviamo al cospetto di una scrittura a volte molto ricca ma nella maggior parte delle volte decisamente spoglia e quasi pre-mahleriana nell'alternare i pieni e i vuoti.
Si tratta di un punto fondamentale anche a parere di Stefano Ligoratti. Non di rado la musica di Liszt viene vista in un'accezione negativa, noi siamo un po' figli della cultura che considera il compositore ungherese più che altro come eccelso virtuoso di pianoforte, mentre in realtà la sua figura è molto più sfaccettata e profonda. L'aspetto che è stato più trattato è quello della retorica, negativamente intesa poiché mirata a enfatizzare, esagerare un gesto o una frase musicale. Non si può negare che in questi Lieder sia molto presente la componente dell'eloquenza, ma intesa in un senso più profondo, poetico. Emblematico è in tal senso Oh! Quand je dors, bellissimo titolo di riferimento a Petrarca e alla sua amata Laura, donna che viene idealizzata. Il compositore riesce a escogitare una figura retorica incentrata sul bisticcio di parole che appare nel verso "Erano i capei d'oro a l'aura sparsi"; la crea musicalmente in maniera mirabile alla battuta 88, sul finire del Lied, quando il soprano emette una nota acuta in "ppp" (un sol diesis), seguita da un disteso arpeggio del pianoforte che rappresenta l'aura mattutina ma anche il personaggio femminile. In questa precisa circostanza Liszt ha inventato un'efficace figura retorico/poetica senza mai cadere nel cattivo gusto, come ipotizzato dai suoi detrattori. Successivo Lied eseguito è Der Fischerknabe (Il ragazzo pescatore), su testo di Schiller, altro grande poeta messo in musica da Liszt, oltre a Goethe ed Heine. Il testo dice: "Il lago sorride, ti invita a nuotare/Il ragazzo si addormentò sulla sponda verde/Poi sente uno squillo/Come flauti così dolci/Come voci di angeli/In Paradiso/E come si sveglia nella beata lussuria/Poi l'acqua gli giocò intorno al petto/E chiama dal profondo: Caro ragazzo, sei mio!/Attiro il dormiente/Lo tiro dentro."
Qui si mette in scena uno dei tipici "tòpoi" del romanticismo, molto simile a quello cui si accosta Schubert ne Der Tod und das Mädchen (La morte la fanciulla). La morte che irretisce la fanciulla presentandosi in vesti seducenti, stesso tema contemplato in Erlkönig. Il ragazzo pescatore è l'emblema dell'innocenza, trascinato nel fondo del lago con l'arma dell'adescamento. Non a caso Liszt sceglie questo testo, come in Freudvoll und Leidvoll, dato il suo senso estetico per gli estremi, per i due opposti poli dell'angelico e del demoniaco. È certamente una composizione che prefigura la strada battuta nel più ampio Die Lorelei, l'ondina del Reno che attira a se il marinaio seducendolo. Come nella maggior parte dei Lieder lisztiani, anche in questo si affaccia, nel decorrere di un breve lasso di tempo, una rimarchevole varietà di situazioni espressive e anche modi di cantare e suonare veramente stupefacenti. In alcuni casi possiamo vedere delle scene di stampo operistico. In Die Lorelei c'è un recitativo, un arioso; dal punto di vista vocale s'incontra sicuramente la difficoltà, ma anche l'interesse, di una scrittura che muta continuamente: il "durchkomponiert", cioè una musica in continuo divenire, non inquadrata in sezioni e non ripetitiva, dove assente è la forma strofica. S'intravvede una maniera di concepire la dialettica musicale che anticipa la liederistica straussiana e anche wagneriana. Franz Liszt amava le voci più corpose, dice Monika Lukács, infatti lui ha scritto soprattutto per un soprano drammatico, anche per un mezzosoprano, data la presenza di note molto basse.
Per lei, che è un soprano di coloratura, è stata una grande sfida. Confessa al pubblico che in questo periodo sta studiando la Lakmé (opera in tre atti del compositore francese Léo Delibes), cercando di risolvere i problemi tecnici e musicali che pone, proprio per via della tessitura vocale per lei molto bassa. È un repertorio che gli piace talmente tanto da persuaderla al superamento di tutti questi ostacoli. Liszt ha scritto in questo modo tutti i suoi brani e la cantante che li interpreta è obbligata a fare i conti con una notevole estensione di registro. Il soprano ungherese ha scoperto, grazie a un suo amico presente in sala, il direttore d'orchestra Giampaolo Bisanti, l'opera Sardanapalo di Liszt, su libretto di Lord Byron. Mirra, la protagonista, dev'essere di norma interpretata da un soprano drammatico di agilità, impegnata in un ruolo degno addirittura di Lady Macbeth. Liszt quindi prediligeva le voci più gravi, quelle più drammatiche e adatte a un certo tipo di teatralità. Questo lavoro di ricerca che sta portando avanti è un modo, come abbiamo apprezzato nell'ultimo Lied, di valorizzare anche gli aspetti più eterei, più smaterializzati dell'ispirazione lisztiana, troppo spesso messi in second'ordine rispetto a quelli più eclatanti. Certi acuti in pianissimo che lui chiede, se eseguiti da una voce più pesante sarebbero più complicati da gestire. Il compositore, non dimentichiamolo, fu anche un grande divulgatore del repertorio liederistico, realizzato anche attraverso il solo pianoforte mediante le sue geniali trascrizioni dei Lieder di Beethoven, come An die ferne Geliebte, una grande quantità di Schubert, Widmung di Schumann, cavallo di battaglia e bis di grandi pianisti come Van Cliburn.
Portò avanti un lavoro, come si direbbe oggi, di operatore culturale. Straordinario perché a lui dobbiamo la diffusione di un repertorio ottocentesco che altrimenti sarebbe rimasto confinato ai salotti e che lui invece trasferì nelle grandi sale da concerto. Si potrebbe magari discutere sul fatto che il grande auditorium non è adatto alla liederistica, ma sicuramente Liszt, pur a volte travisandola attraverso delle mirabolanti parafrasi, trascrizioni e arrangiamenti, ebbe l'indubbio merito di farla conoscere a un ampio parterre. Quando trascriveva, lo faceva sempre in un modo molto intelligente. Impegnato in Lied dal carattere introspettivo, come il citato An die ferne Geliebte, lui non aggiungeva quasi nulla, riportando semplicemente al pianoforte quello che c'era nel brano originale o poco di più, mentre in casi di maggior concitazione espressiva, per esempio in Widmung, dove troviamo l'esaltazione amorosa tra Robert e Clara, manifestava una maggior estroversione pianistica. Il terzo Lied che ascoltiamo è rappresentativo della "mélodie" francese, pure in questo caso il compositore fece da battistrada poiché si era veramente agli albori della nascita di questo genere e lui si cimentò con questo nello stesso periodo in cui lo faceva Charles Gounod. Fu pioniere persino in una lingua che non era la sua, il francese, come nel liricissimo Oh! Quand je dors, il quale offre una visione angelicata della donna. Nel sol diesis finale c'è l'irradiarsi del sogno di felicità legato all'apparire dell'aura in quest'evocazione petrarchesca.
In Franz Liszt spesso assistiamo all'intrecciarsi della letteratura, della storia dell'arte, della storia "tout court" con il suo percorso biografico, cosa che lo rende oltremodo attuale, oltre che pienamente romantico. In quegli anni stava vivendo una storia avventurosa con una donna divorziata, Marie d'Agoult. Dietro la figura di Laura c'è in realtà quella di questa scrittrice francese, così come succede in altre eroine lisztiane. Ci sarà poi quella di Carolyne zu Sayn-Wittgenstein, la principessa polacca cattolica che il compositore provò a sposare. Lei era stata già coniugata con un uomo e sia lei che Liszt cercarono di dialogare addirittura con il Papa, chiedendo un permesso nientemeno che al Vaticano. Però il suo precedente marito, in combutta con lo Zar di Russia, fece annullare il matrimonio. Liszt perciò non riuscì mai a portare a termine il suo sogno di felicità, in questo come in altri casi, anche perché finì sempre per essere l'amante di donne sposate, il che all'epoca era uno scandalo incredibile. Un uomo che a Luca Ciammarughi ispira grande simpatia poiché sfidò apertamente e con estrema sincerità i tabù e i cliché dell'epoca, visse un'esistenza votata alla generosità, aiutò molto i suoi amici musicisti, per esempio Wagner, e sostenne la musica di Chopin, Schumann e altri, ma a volte pagando lo scotto di questo suo carattere così ardito. Il Lied che segue, Lorelei, dà il destro ai nostri amici per imbastire una piccola guida all'ascolto che, senza voler diventare pedante, desidera avvalersi di un musicista a 360 gradi come Stefano Ligoratti, pianista, direttore d'orchestra, compositore.
Parliamo di un Lied fra i più belli e importanti della storia del genere. Inizia con una sorta di recitativo dal sapore wagneriano, espressione massima dell'arioso, che senza dubbio anticipa il Tristano e Isotta mediante un intervallo che nel barocco era definito "patetico", la settima diminuita. Qui appare nel Nicht schleppend (Moderato) iniziale, dove le appoggiature che seguono evocano il capolavoro di Wagner. La storia racconta che i due compositori andavano a braccetto e s'influenzavano a vicenda. La vicenda dell'ondina e del barcarolo si sviluppa, arriva una parte meravigliosa con una melodia anche un po' spezzettata, afferma Ligoratti, che esordisce con delle piccole frasi, estremamente dolci. Si giunge poi a un frangente tempestoso (l'Allegro agitato molto) suggestivo di marosi: si scatena allora un fortunale descritto da terzine suonate in "ff". Non è un Liszt al massimo del suo virtuosismo, anche se può sembrare il contrario, ma semplicemente determinato a coinvolgere chi ascolta in una narrazione di grande efficacia, pur se trasposta con accenti operistici. Si ritorna quindi alla calma iniziale. Un arioso all'interno di un Lied è una cosa di certo molto interessante. In mattinata Stefano e Monika discutevano del Lied lisztiano Ihr Glocken von Marling, di come questo anticipasse l'impressionismo; Liszt è sempre un passo avanti, peccato che ce ne accorgiamo cento o duecento anni dopo. Ligoratti ci fa ascoltare proprio l'inizio di questo Lied così suggestivo. Ma non è certo un caso isolato, anche in Les jeux d'eaux à la Villa d'Este comprendiamo quanto gli impressionisti, Debussy ma ancor più Ravel, fossero debitori del genio ungherese.
Assistiamo a un percorso che parte da una specie di tensione soggiacente, passa per una barcarola estatica e pacifica per approdare al turbine vorticoso delle acque del Reno, ambiente naturale dell'ondina. Itinerario che corrisponde a un testo molto bello: "lo non so che voglia dire che son triste, così triste. Un racconto d'altri tempi nella mia memoria insiste. / Fresca è l'aria e l'ombra cala, scorre il Reno quietamente; sopra il monte raggia il sole declinando all'occidente. / La bellissima fanciulla sta lassù, mostra il tesoro dei suoi splendidi gioielli, liscia i suoi capelli d'oro. / Mentre il pettine maneggia, canta, e il canto ha una malia strana e forte che si effonde con la dolce melodia. / Soffre e piange il barcaiolo, e non sa che mal l'opprima, più non vede scogli e rive, fissi gli occhi ha su la cima. / Alla fine l'onda inghiotte barcaiolo e barca... Ed ahi! Questo ha fatto col suo canto la fanciulla Lorelei." Il pubblico vive un momento speciale con Die Lorelei. Il termine "cinematografico" è oggi forse un po' inflazionato, soprattutto per le regie d'opera, ma qui Liszt ha veramente la capacità di farci vedere la scena in modo plastico, non solo perché padrone dell'arte di dipingere attraverso i suoni, ma anche di prospettarci una rappresentazione, come se la partitura fosse una specie di videocamera immaginaria in cui vediamo il barcaiolo risucchiato dai flutti. Alla fine s'intravvede quel senso di liberazione che dà la morte, tipico della cultura tedesca fin dall'antichità. Franz Liszt vivendo a Weimar (si muoveva dopo gli anni '50 dell'Ottocento tra Roma, Budapest e Weimar, in una sorta di vita triplice) aveva assorbito molto anche della cultura tedesca, goethiana e non solo.
La cosa che sorprende di questo Lied è che contiene delle modulazioni, in parte schubertiane, fortemente visionarie e molto ardite, in grado di proiettarci ancora una volta in un universo di estremi contrasti emotivi, tuttavia gestiti con un'eleganza sopraffina. L'immagine del compositore in Italia è sostanzialmente quella di un amatissimo (non da tutti i pianisti) virtuoso del pianoforte, talvolta suonato in modo eccessivamente muscolare e poco conosciuto per il resto, se non da alcuni suoi cultori che rappresentano comunque una nicchia. Ma qual è la sua considerazione in Ungheria? Come viene percepito? La sua immagine è forse vista come quella di Chopin in Polonia o Čajkovskij in Russia? Secondo Monika Lukács è molto amato come compositore, forse un po' meno in veste di liederista. Questo è almeno quello che sinceramente percepisce dagli alunni nel corso di masterclass, i quali tendono a portare poco i suoi Lieder. Certamente di maggior risonanza è la sua musica religiosa, a titolo d'esempio il meraviglioso Oratorio Christus, tuttavia in Ungheria sono molto più eseguiti i Poemi Sinfonici, Mazeppa, Tasso. Lamento e trionfo, Hungaria e altri, che sono presenti nel repertorio classico delle sale da concerto. La speranza del soprano è che si possa fare qualcosa di più per diffondere la conoscenza dei Lieder di Liszt, in questo senso è pronta a dare il suo contributo, ritenendoli davvero incantevoli, nella speranza che possano essere più divulgati. Alcuni di questi, come i Sonetti del Petrarca, vengono proposti in concerti tematici però molti altri assai belli no.
Anche la citata musica religiosa è in gran parte da riscoprire: Mottetti, Messe, Oratori o anche altri lavori poco noti come La leggenda di Santa Elisabetta. Con l'ultimo Lied ascoltato, O lieb, so lang du lieben kannst, veniamo infine a una composizione divenuta molto più famosa nella versione pianistica, cioe il Liebestraum N. 3. Franz Liszt, infatti, non fu soltanto un trascrittore/arrangiatore di Lied altrui ma anche propri, lui stesso parte quindi dai suoi per arrivare alla versione pianistica, in una concezione di musica poetica dove più che l'aderenza alla parola in senso stretto a volte è importante proprio l'aura generale che circonda questi lavori. La tonalità d'impianto è il la bemolle maggiore, amatissima da Liszt. Su questa disquisisce il filosofo e musicologo francese Vladimir Jankélévitch, grande cultore del compositore ungherese, oltre che di Fauré e Debussy, a causa della sua genialità armonica. Proprio a proposito dei suoi Lieder dice: "Lo spirito del puro movimento, che è lo spirito faustiano, elettrizza le melodie di Liszt." Una sintesi che Luca Ciammarughi trova eccezionale: anche quando ci sono poche note avvertiamo questo continuo divenire, che poi era la chiave dell'inesausta ricerca di un uomo in costante metamorfosi.
Alfredo Di Pietro
Giugno 2022