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 PianoSofia 2022 - Viaggi e viandanti - Winterreise in musica e parole Riduci


 

 

INTRO



Con ancora nelle orecchie e nel cuore la Sonata D 960, splendidamente interpretata ieri sera da Adam Laloum, mi accingo a partecipare a questo secondo appuntamento di PianoSofia, dove Schubert prolunga la sua presenza con il ciclo liederistico Winterreise. Il clima milanese è propizio, sono immerso in miti e soleggiate giornate autunnali, e, anche se lo scenario di questi Lieder è invernale, mi aiuta a entrare nella magia di questa musica immortale. Sono contento di trovarmi su questo in buona sintonia con Silvia Lomazzi, anche lei sta vivendo il medesimo incanto. Nella presentazione della serata dichiara di sentirsi come in un viaggio autunnale, un Herbstreise, in attesa del Winterreise di questa sera, da lei e da tutti i presenti ricevuto con grande emozione da due interpreti di grande livello come Blagoj Nacoski e Luca Ciammarughi. Se del secondo chi segue le cronache musicali del nostro Paese sa tutto o quasi, sul primo può essere forse utile qualche informazione più particolareggiata, utile per rendersi conto su quale - altissimo - livello si attesti una manifestazione come PianoSofia. Blagoj Nacoski nasce in una famiglia di musicisti, in essa comincia gli studi musicali. Successivamente si trasferisce a Roma dove studia con Mirella Parutto e Antonio Boyer. Nel 2003 si diploma al Conservatorio Licinio Refice di Frosinone con il massimo dei voti, perfezionandosi con Raul Gimenez a Barcellona e Silvia Bossa a Firenze. Sempre nel 2003, in febbraio, debutta con il ruolo di Arturo in Lucia di Lammermoor di G. Donizetti al Teatro dell'Opera di Roma, sotto la direzione del Maestro Daniel Oren e con la regia di Graham Vick.



In seguito interpreta il ruolo di Don Ottavio nel Don Giovanni di W. A. Mozart a Miskolc (Ungheria), a fianco di Renato Bruson nel ruolo del protagonista. Da quel momento intraprende una carriera internazionale che lo porta nei maggiori teatri italiani e stranieri (la serie è davvero lunga). Riscuote particolare successo nei ruoli mozartiani come Ferrando (Così fan tutte), Don Ottavio (Don Giovanni), Tamino (Il flauto magico), Belmonte (Il ratto dal Serraglio), Alessandro (Il re pastore) e Scipione (Il sogno di Scipione), nonché nei ruoli di Almaviva (Il barbiere di Siviglia, Rossini), Lindoro (L'Italiana in Algeri, Rossini), Don Narciso (Turco in Italia, Rossini), Don Ramiro (Cenerentola, Rossini), Ernesto (Don Pasquale, Donizetti), Nemorino (L'elisir d'amore, Donizetti), Fenton (Falstaff, Verdi), Lysander (Il sogno di una notte di mezz'estate, Britten), Peter Quint (Il giro di vite, Britten), Pescatore (Le Rossignol, Stravinsky), Golo (Genoveva, Schumann), Aedo (Marco Polo, Zanettovich, prima mondiale), Orfeo (Orpheé aux Enfers, Offenbach). Blagoj Nacoski ha inoltre collaborato con eminenti direttori d'orchestra. Sul versante delle registrazioni, oltre a Il sogno di Scipione di Mozart per la Deutsche Grammophon, ha inciso Ariadne auf Naxos, Roméo et Juliette di C. Gounod, Lucia di Lammermoor di Donizetti, Te Deum di Colusso insieme a diverse riprese sia per la Radio che per la Televisione Nazionale Macedone, la TV Telma e la TV giapponese NHK. Più di recente, nel 2008, gli è stato conferito il Titolo Onorario "Ambasciatore della cultura della Repubblica di Macedonia" dal Governo macedone.

Silvia Lomazzi

Ci occupiamo quindi di Winterreise, ultimo ciclo liederistico di Schubert, tra i più conosciuti nella storia della musica, al pari della Sonata D 960 vero testamento spirituale del genio viennese. Ritroviamo nei suoi ventiquattro Lieder tanti significati e simboli destinati a essere sviluppati da futuri compositori, elementi che ancora oggi mantengono intatta la loro suggestione. La vicenda che narrano è semplice ma foriera di molteplici diramazioni psicologiche ed espressive: un giovane viene allontanato dalla casa dell'amata poiché a lui è stato preferito un ricco sposo. Prende allora a vagare in un desolato paesaggio invernale, alla ricerca di una ragione per continuare a vivere, un viaggio che diviene metafora della vita stessa. Su questo hanno argomentato Nicola Montenz, diplomato in organo e composizione organistica, laureato in Letteratura greca con un dottorato di ricerca in Filologia Classica, e Luca Ciammarughi, presente alla serata nella doppia veste di pianista e relatore. Hanno inanellato una discussione chiarificante, dove i contorni del protagonista di questo viaggio invernale sono diventati ben definiti, come incarnazione del "Wanderer" e simbolo di un'approfondita ricerca spirituale, in cui la natura diventa specchio dell'anima. Insomma, PianoSofia si conferma come autentico toccasana per alleviare le angoscie, le perdite d'orizzonte e altre noie che patiamo in questi tempi bui. Alcuni si chiederanno perché la rassegna milanese abbia adottato un logo così particolare: un fenicottero rosa dalla coda di serpente. La ragione sta nel suo sintetizzare la volontà di ricerca negli ambiti della musica e della filosofia, è un'immagine che Silvia Lomazzi ha avuto in Sardegna qualche anno fa, colpita dalla capacità di quest'uccello di nuotare, volare e camminare sulla terra, simbolo della "tridimensionalità" che con queste serate si vuole ricreare.


DIALOGO INTRODUTTIVO TRA NICOLA MONTENZ E LUCA CIAMMARUGHI

"La sola creazione di tali capolavori in quell'arco di tempo sembra incredibile, ma la qualità dell'ispirazione, della magia, è miracolosa e supera ogni spiegazione"

Benjamin Britten su Franz Schubert




Il ciclo liederistico Winterreise (Viaggio d'inverno) si collega idealmente al primo appuntamento di PianoSofia 2022, dove Florinda Cambria ha disquisito sullo spirito libero nel pensiero di Nietzsche. Un tema che sicuramente ritorna stasera con Franz Schubert, il quale fu definito da R. Schumann "Il più ardito e il più libero di tutti gli spiriti tra i musicisti moderni". Qualità che reincontriamo senza meno in Winterreise, dove c'è tuttavia qualcosa di più, essendo un ciclo che parla della vita e della morte, nato in una situazione estrema ed esso stesso estremo. Si pone a questo punto la necessità di contestualizzare tale frangente. Siamo nel 1827, Schubert ha trent'anni esatti e inizia a scrivere Winterreise, cioè una serie di "canzoni" che compongono una storia con un inizio, uno sviluppo e una fine. Chi è Schubert nel 1827? Dove vive? Qual è il suo passato e quali i suoi sogni? Cos'ha di fronte a se? Quest'ultima è forse la domanda cruciale per inquadrare la sua creazione, poiché il compositore ha appena trent'anni ma è già praticamente alla fine della sua vita: morirà l'anno seguente a soli trentun'anni. Con questo ciclo inizia un anno che molti hanno definito miracoloso. Secondo Ciammarughi, in realtà non si tratta di un miracolo ma la conseguenza di una serie di elementi che portarono Schubert a scrivere nel suo ultimo anno di vita una quantità di musica che è sconcertante. E lo è ancor più la sua qualità. Una produzione sbalorditiva per bellezza, intensità, per il livello abissale di ciò che rappresenta. Schubert la compone in un regime dittatoriale, nell'Austria di Metternich, in una Vienna dove la libertà esiste in maniera molto relativa, essendo piena di spie, perseguitata dalla censura, nella quale le lettere vengono aperte e i docenti controllati.

Nicola Montenz

Dal 1815, in coincidenza con il Congresso di Vienna e l'età della Restaurazione, il diciottenne Schubert vive dunque in una dittatura. Può sembrare sfortunato, nel suo percorso esistenziale oltre che nel contesto socio-politico, ma in realtà è lui stesso che va alla ricerca di qualcosa di estremo. Rifiuta il posto fisso nella scuola del padre e decide di vivere soltanto del proprio lavoro di compositore, cosa assolutamente eccezionale: se pensiamo ai musicisti del Settecento o inizio Ottocento, vediamo come questi fossero quasi sempre legati a una committenza, ecclesiastica o aristocratica che fosse. Anche Mozart e Beethoven, che pur si avviano verso l'indipendenza, sono ancora legati a dei benefattori. Schubert invece è completamente solo, come recita anche uno dei Lieder del Viaggio d'inverno, Einsamkeit (Solitudine); lui la sperimenta per primo tra i grandi compositori, circondato soltanto da un gruppo di amici che in qualche maniera lo aiutano. Vive a Vienna come una specie di Wanderer urbano, passando di casa in casa, di affitto in affitto, senza soldi, in una condizione sentimentale difficile. Alcuni studi degli ultimi decenni hanno rivelato anche un altro fattore molto problematico in quel contesto socio-politico, cioè l'omosessualità, che trapela dalle lettere degli amici e da tanti documenti. Si prospetta così tutta una serie di elementi che fanno di lui un personaggio eccezionale, controcorrente, un diverso e anche un reietto. Non c'è la volonta in Luca Ciammarughi di legare troppo la biografia alla produzione musicale, ma un po' si perché quando Schubert sceglie i testi dei suoi Lieder non lo fa mai casualmente.

Luca Ciammarughi

Ce n'è uno dell'inizio anni '20 intitolato Der wanderer (Il viandante) che è una vera e propria dichiarazione di poetica, ma anche di vita. Negli ultimi versi dice: "Là dove tu non sei, là è la felicità", questa è sempre altrove rispetto a dove lui si trova. C'è anche un'altra frase molto indicativa in questo Lied: "Ich bin ein Fremdling überall" (Dappertutto io sono un estraneo); il termine Fremdling, questo sentirsi straniero, lo troviamo proprio all'inizio della Winterreise nelle parole "Fremd bin ich eingezogen, fremd zieh' ich wieder aus." (Come un estraneo sono comparso, come un estraneo me ne vado.) La trama dei testi si riduce a pochissimi elementi, si racconta di un giovane che viene scacciato dalla casa dell'amata, il viaggio comincia dunque dalla fine della storia d'amore. Tutto è terminato, a lei è stato promesso un'altro uomo. Il giovane da quel momento inizia a vagare nel paesaggio invernale seguendo una serie di segni indicatori lasciati dagli animali, sono indizi coinvolti nella ricerca di non sappiamo bene cosa. Solo alla fine scopriremo il suo vero obiettivo. Questo ciclo di Lieder si può collegare al precedente Die schöne Müllerin (La bella mugnaia), qui troviamo un altro viandante, un giovane mugnaio, che rappresenta l'antecedente della figura protagonista di Winterreise. Il giovane segue un ruscello, in tal caso non ghiacciato come nel Viaggio d'inverno, che lo conduce nella casa della bella mugnaia, la quale però gli preferisce un cacciatore. Alla fine del ciclo, il mugnaio si suicida gettandosi in un corso d'acqua che lo porterà verso il mare, una morte che è in verità una liberazione preludente a qualcos'altro.



A Nicola Montenz Ciammarughi consegna un'ipotesi in sospeso: "Dove finisce la Müllerin inizia Winterreise?". La risposta è affermativa. La seconda appare musicalmente molto più nera della prima, dove però non v'è ancora una morte dichiarata, ma solo invocata. Una delle possibili interpretazioni che si possono dare è quella allegorica dell'intellettuale nell'età della Restaurazione, almeno pare che Wilhelm Müller, poeta autore dei testi, coltivasse quest'idea. Conviene a questo punto chiarire cos'è un "Liederkreis". La ciclicità, la teoria di non scrivere un Lied isolato ma metterne insieme diversi esiste, come afferma Laura Tunbridge, sin da quando si è cominciato a scriverli. Tuttavia, nel caso dei cicli schubertiani citati abbiamo delle strutture articolate, aventi al loro interno una direzionalità narrativa. Il caso di Winterreise, più ancora di quello della Die schöne Müllerin, è interessante perché è uno dei pochi in cui Müller abbia lungamente lavorato sui testi. Incomincia nei primi anni '20 dell'Ottocento e l'edizione definitiva appare nel 1824, si verifica quindi un continuo riassemblamento del materiale per conferirgli una direzione conclusiva. Non si tratta semplicemente del Wanderer che fugge dal dolore dopo la fine dell'amore, l'intellettuale che si allontana da una Vienna un po' distopica, ma si afferma l'idea di costruire un romanzo fatto di poesie. Il compositore sceglie dei testi che hanno una forte coesione tematica; anche se gli eventi all'interno della narrazione sono pochi, in essa si può seguire un filo che in qualche modo appare inesorabile, tanto verbalmente quanto musicalmente.



Difatti, su questo ciclo le interpretazioni si sono sprecate; sono davvero tante le esegesi stilate sul personaggio del Wanderer, ma anche del Leiermann. Il viandante può essere d'altronde tante cose. Wilhelm Müller ha scritto la Winterreise in una fase particolarmente tranquilla della sua vita, si sentiva molto bene e si era da poco sposato. Il ciclo così emerge come creazione letteraria, scritto non per dare sfogo a uno speciale dolore ma semplicemente per consegnare un prodotto letterario. A partire da ciò possiamo chiederci se il Wanderer impersoni un ideale poeta o intellettuale della Vienna nel periodo della Restaurazione che decide di fuggire, figurando come un reietto. Questo tema dell'emarginazione regge però sino a un certo punto, dacché già all'interno del primo quaderno il tema dell'amore passa in secondo piano. Comprendiamo allora di non essere più in presenza di un individuo ben preciso ma qualcuno che simboleggia un "quid", incarnando un viaggio sempre più accidentato, anche armonicamente. Quell'edizione che oggi noi riconosciamo come critica fa piazza pulita, come del resto la prima, di alcune tonalità presenti nel manoscritto. Così come l'ascoltiamo oggi sembra abbastanza non monotona, ma comunque limitata a tonalità vicine; è utile però sapere che Franz Schubert aveva concepito un percorso tonale diverso. Ammiriamo così un itinerario impervio, non più legato alla delusione d'amore ma a un'inesorabile via esistenziale.



Anche dal punto di vista della forma il Müllerin utilizza volentieri quella strofica, al contrario della Winterreise che l'adopera pochissimo in favore del Durchkomponiert, vale a dire una musica continua, non sezionale e non ripetitiva, tecnica che crea una direzionalità continua e ineluttabile dove non c'è un ritorno. La Winterreise si pone dunque non solo come la storia di un singolo poeta, che può essere quella di Müller o di Schubert, che si sono identificati con il viandante oppure con qualcos'altro. Il Leiermann, l'uomo dell'organetto, è un personaggio che il Wanderer incontra alla fine del suo viaggio, un vecchio che sta ai margini del villaggio, un Dorfmusicant (Musicista di paese) che fa girare con le sue dita indurite una specie di ghironda. È un paria anche lui, forse ancor più del viandante, è veramente l'ultimo della società, calato in uno scenario quasi espressionista. Il nostro viandante giunge in una landa desolata, in una terra di nessuno e lo incontra. Tutti allora si sono chiesti chi fosse questo personaggio e cosa simboleggiasse. Forse la morte, con questo organetto? Oppure è la musica stessa, poiché in conclusione del testo il pellegrino dice: "Vecchio misterioso, e se venissi con te? Accompagneresti i miei canti col tuo organetto?" Potremmo dunque anche avvalorare la tesi di una musica salvifica, che rende tutto il dolore del mondo non accettabile, ma comprensibile e racchiuso in un ciclo che può essere idealmente ripetuto in eterno. Il Lied inizia con una cosa che nessun compositore dovrebbe fare, cioè con un bicordo, anzichè una triade, composto dalla fondamentale e dalla quinta, cioè una cosiddetta quinta vuota.



Noi allora non sappiamo se la composizione sarà in tonalita maggiore o minore. Manca la terza, che è caratterizzante del modo, eppure in tutti i ventitre Lieder precedenti la tonalità ha infuriato come strumento descrittivo per far capire i vari frangenti: la tempesta, la morte che si avvicina in Der Wegweiser, tema ripreso da Richard Strauss nella grande aria dell'opera Ariadne auf Naxos. Questo per dire come tale concezione resti a livello di archetipo. Alla fine di un percorso in cui si sono toccate tante tonalità, agogiche diverse, e gli andamenti sono stati di ogni tipo, possiamo affermare di essere di fronte a una grande metafora musicale dell'esistenza, la quale parte da un cuore spezzato ma diventa ben presto un percorso attraverso il gelo della vita. Cosa vuole dirci il compositore con queste quinte vuote? Non lo sapremo mai perché ancora oggi è materia di speculazione, Schubert è morto e magari non saprebbe risponderci nemmeno lui, ma è un fatto che al termine del lungo percorso ci ritroviamo con questi bicordi che svuotano virtualmente tutto ciò che c'era prima, ponendosi come un'apparizione, un'epifania. Dopo che il nostro viandante è stato rifiutato anche dalle tombe del cimitero, si verifica questa apparizione. Si può certamente cogliere il messaggio che lui sia giunto al termine della vita, ma cosa c'è su questo limitare? Una spoliazione che è anche armonica: quanto avvenuto prima, le tonalità toccate, i tormenti armonici, non armonici ed esistenziali, vanno a concentrarsi in quelle quinte vuote, queste assorbono tutto, sono il correlato musicale della polvere.



Schubert sembra volerci dire che, alla fine di tutto, c'è la polvere e noi siamo quella polvere. Si tratta di un percorso plausibile ma non l'unico ipotizzabile, sul quale si è detto molto, perciò questa rimane non altro che una possibilità di lettura. In mezzo ai due estremi della presa di coscienza iniziale di estraneità e il finale così enigmatico succedono tante cose, sempre nell'ambito di una polarità molto spinta, ancor più di quanto accade nello Schubert precedente. Il mondo della realtà e quello dell'illusione sono rappresentativi di questi due estremi, dove la realtà viene solitamente espressa con tonalità minori; il presente in quel momento è per lui dolore e lo esprime affondandolo completamente nella sua carne. Dal punto di vista sonoro l'ascoltatore avverte un non so che che è quasi voluttà del dolore. Beethoven e anche Schubert hanno scritto un Lied intitolato Wonne der Wehmut, in questo troviamo il rapimento della malinconia, che in Winterreise oltrepassa la mestizia, avvicinandosi a una pulsione di morte, come la definirebbe Freud. Dall'altra parte c'è la tonalità maggiore, apportatrice di momenti più luminosi, in cui l'atmosfera si rischiara, apparentemente distensivi, ma che in realtà sono spesso molto più terribili di quelli in tonalità minore. Il motivo di tale paradosso? Nelle tonalità maggiori il compositore sembra voler rifugiarsi in una specie di paradiso artificiale, in un'illusione che nel testo è legata quasi sempre al ricordo di un passato felice. Ma questo passato è davvero esistito? Viene da pensare a un focolare nel cui tepore ristorarsi, però ciò che è stato non esiste più nel presente, in quello che viviamo nel qui e nell'ora, che si rivela come scenario di dolore.



Affascina in Winterreise lo scontro fra due aspetti intimi della natura di Schubert. Ci sono delle dichiarazioni di amici del compositore che parlano di un suo strano sdoppiamento interiore, come un conflitto; Josef Kenner disse che era dominato dagli impulsi di una sensualità ardente. In lui convivevano due nature, una che lo innalzava al cielo, l'altra che lo spingeva verso i piaceri terreni quasi immergendolo nel fango. È un po' quella che Mario Praz chiamava "nostalgia del fango". La dinamica fra celestiale e demoniaco, tra innalzamento e caduta, che sono a ben vedere due lati della stessa medaglia, emerge in maniera lampante in Winterreise, forse proprio in virtù della sua essenzialità di scrittura. Si avverte la matrice cattolico-occidentale del compositore nella citazione di Corali, nella Deutsche Messe D 872, ma anche un forte istinto pagano in un modello greco molto presente in lui. Schubert richiama in molti dei suoi Lied, per esempio in Ganymed, questa sensibilità ellenica. Nel terzultimo Lied di Winterreise, Mut (Coraggio), viene fuori inconfutabile questa matrice pagana: "Se non c'è nessun Dio sulla terra, noi stessi siamo dei!", puntualizzando che la parola "siamo" è da intendere come imperativo esortativo. La presa d'atto di un cielo che si è svuotato ed è l'uomo stesso che deve assumere, non senza una buona dose di tracotanza, la funzione divina. La grandezza di Franz Schubert e della sua intera produzione musicale nasce proprio dal conflitto tra questi due elementi. L'illusione, in qualità di passato e sogno, viene espressa con la tonalità minore e l'utilizzo di accordi alterati. Nei versi appena citati abbiamo una cadenza maggiore, subito dopo seguita dal motto iniziale in minore.

Il significato è chiaro: mi sto illudendo che sia così, ma nella realtà mi aspetto solo che le mie ultime energie siano risucchiate da quest'apparizione. A fronte di qualche interpretazione possibile, Winterreise emerge come costellazione potenzialmente infinita di prospettive, da cui l'interesse che molti le hanno manifestato. Pensiamo alla citazione di Thomas Mann alla fine della Montagna incantata, a Bergman e tanti altri. Winterreise è un capolavoro assoluto che ora si sta cercando di riprendere in forma Kletzmer, sotto scenari stilistici decisamente lontani dall'esecuzione storicamente informata, che è quella della musica da camera. Esso continua quindi a parlare molto, al di là del periodo storico in cui è stato scritto, riversando nella sua matrice ciò che uno più sente.

Nicola Ciammarughi


WINTERREISE - NELLA CARNE VIVA DELL'ANIMA

Franz Schubert (1797-1828)

Winterreise D. 911

- Gute Nacht
- Die Wetterfahne
- Gefrorene Tränen
- Erstarrung
- Der Lindenbaum
- Wasserflut
- Auf dem Flusse
- Rückblick
- Irrlicht
- Rast
- Frühlingstraum
- Einsamkeit
- Die Post
- Der greise Kopf
- Die Krähe
- Letzte Hoffnung
- Im Dorfe
- Der stürmische Morgen
- Täuschung
- Der Wegweiser
- Das Wirtshaus
- Mut
- Die Nebensonnen
- Der Leiermann

Blagoj Nacoski, tenore
Luca Ciammarughi, pianoforte.

Testi poetici letti da Nicola Ciammarughi



Ci sono stati oltre due minuti di applausi al termine della splendida esecuzione di Winterreise da parte di Blagoj Nacoski e Luca Ciammarughi, dopo i quali il pubblico forse si aspettava un "encore". Ma è comprensibile la volontà dei due artisti di non aggiungere altro a una musica che non abbisogna di nessuna appendice, poiché esaurisce in sé una vasta gamma di sentimenti. E lo fa nel modo più alto possibile. Il passaggio di testimone tra il contributo filosofico, in quest'appuntamento fortemente tendente al musicologico, è stato molto naturale, consequenziale direi. Ed è perfettamente inutile che nelle mie impressioni d'ascolto io mi spertichi in panegirici sui quando, come e perché di questo ciclo liederistico, visto che ne hanno già parlato con autorevolezza Luca Ciammarughi e Nicola Montenz. Ma non posso nemmeno cavarmela con uno striminzito post da Social Media, anche se potrebbe essere sufficiente quello che ho scritto su Facebook poco dopo il concerto, in cui dichiaravo la decisione di non pubblicare alcuna anteprima dei vari appuntamenti di PianoSofia, così da risparmiare tempo e "impiattarli" in versione estesa. Sentivo comunque l'esigenza di stendere poche ma significative righe sull'evento: "Quando una musica è in grado di rapirti completamente, quando ascoltandola ti senti trasportato in un'altra dimensione e i confini del tempo diventano una cosa labile, questa musica non può che essere immensa ed eterna. È quanto sono riusciti a fare Ciammarughi al pianoforte e il tenore macedone Nacoski alla voce.

Blagoj Nacoski



Ho visto negli occhi di Luca lo sguardo di chi ha fatto un lungo viaggio in terre straniere." I ventiquattro Lieder che compongono Viaggio d'inverno sono davvero una navigazione nelle profondità dell'animo umano, delle "canzoni" nei confronti delle quali i nostri due interpreti hanno mostrato una particolare empatia. Durante l'esecuzione sembra abbiano dato fondo a tutte le loro possibilità espressive e dinamiche, che sono andate dal sussurro alla drammatica conflagrazione. Sin dall'esordio di Gute Nacht è apparsa chiara la loro nobile stoffa interpretativa, soprattutto non hanno permesso alla routine di prendere il sopravvento sull'estemporaneità, hanno messo da parte quella sorta di abitudine che li avrebbe costretti a una lettura per così dire "d'ufficio". Sempre alla rincorsa di un approccio cristallino, in queste pagine immortali ogni nota è stata da loro eseguita con la delicatezza o la tragicità che le spettavano. Nulla è scontato in queste pagine, si sa come s'inizia ma non è possibile presagire le trasformazioni, direi le trasfigurazioni, che si possono verificare nel corso dell'interpretazione, e questo vale sia per l'esecutore che per l'ascoltatore. Al clima assorto e sconsolato di Gute Nacht, in Die Wetterfahne si sostituisce il ritorno a una realtà con la quale bisogna fare i conti, sostanziata nella banderuola agitata dal vento. Un deterrente per l'avvicinamento del ricco sposo (Lui avrebbe dovuto notarla, l'insegna sulla casa; non sarebbe più andato a cercarvi una donna fedele), mentre il viandante viene mortificato dall'indifferenza per la sua afflizione (Che glien'importa del mio dolore?)



In Gefrorne Tränen si verifica il contrasto tra il caldo delle lacrime e l'aria fredda, il conflitto tra il rovente sgorgare del dolore e la gelida indifferenza della natura (Eppure dalla fonte del mio petto sgorgate tanto roventi, quasi voleste sciogliere il ghiaccio di tutto l'inverno!). Ed ecco che con Erstarrung arriva il congelamento, quelle lacrime non riescono nemmeno a perforare il terreno, nel disperato bisogno del Wanderer di rivivere, almeno con il ricordo, i momenti felici trascorsi con l'amata (Voglio baciare il suolo, perforare con le lacrime bollenti la crosta di ghiaccio e di neve, finché non trovo la terra.) In Der Lindenbaum si espande una cantabilità sublime, la narrazione acquista il sapore cadenzato di una fiaba antica. Ora la natura non è più in conflitto con il cuore del viandante, ma agevola l'apparizione di un sogno talmente tenero da non lasciare posto ad altri sentimenti (Alla fonte, davanti al portone, vi è un tiglio; disteso alla sua ombra, facevo sogni d'oro. Nella corteccia incidevo tante dolci parole.) Ma l'idillio sembra a un certo punto spezzarsi (Il vento freddo mi soffiava in faccia, mi volò il cappello dalla testa.) In Wasserflut le lacrime cocenti trovano approdo nella neve (Qualche lacrima dai miei occhi è caduta nella neve), ma è anche tempo d'inquietanti interrogativi (Neve, tu conosci le mie ansie, dimmi, dove vai andando. Segui le mie lacrime, e subito arriverai al ruscello.) Auf dem Flusse ci da il destro per renderci conto di come Schubert potesse diventare anche un sottile ricamatore di atmosfere inconsuete, l'accompagnamento pianistico principia sornione con delle crome in "pp" staccate alla mano destra e degli accordi (triadi) alla sinistra.



Il fiume, un tempo allegro, è ora cambiato nella visione del viandante, diventando taciturno e freddo (Chiaro fiume vigoroso, che scorrevi allegramente, come taci, ora, senza neanche un addio.). Un corso d'acqua che viene accomunato al ruscello, rimanendo questo indifferente al dolore. Tempestoso e ricco di scatti drammatici è Rückblick, il passo precipitoso è ostacolato dagli elementi avversi disseminati sul percorso (Sento scottarmi i piedi, anche se cammino su ghiaccio e neve;), (Ho urtato contro ogni sasso, tanto mi affrettavo via dalla città.) Una tregua distensiva appare (Quanto diversamente mi avevi accolto, o città dell'incostanza! Sulle tue linde finestre cantavano a gara l'allodola e l'usignolo.) In Irrlicht il sentimento della morte comincia a farsi sempre più strada, sotto l'egida di una strana tranquillità (Scendo tranquillo lungo gli asciutti canaloni; ogni corso d'acqua finirà nel mare, ogni dolore finirà nella tomba.) In un'atmosfera allegra inizia Frühlingstraum, in contrasto con il sentimento del cuore afflitto, che subito però pone il suo punto di vista, bruscamente, dalla quindicesima misura (E al cantare del gallo mi svegliai; faceva freddo, era buio, sul tetto gracchiavano i corvi.) Anzi, le tiepide tonalità primaverili non fanno altro che esacerbare il dolore del Wanderer, il quale si sente anche deriso (Ma ai vetri delle finestre, chi mai dipinse queste foglie? Ridete, vero, del sognatore che ha visto fiori d'inverno?) Einsamkeit, ovvero il canto della solitudine; desolato e sconsolato è l'umore del viandante, stranianti i bicordi iniziali affidati al pianoforte, che sembrano preludere alle quinte vuote che appariranno in Der Leiermann.



Die Post, tredicesimo della serie, cala in un'atmosfera giocosa con le sue crome puntate eseguite dal pianoforte. Si affaccia uno spiraglio di speranza (Per la via risuona la cornetta postale. Cos'ha, perché sobbalza tanto il mio cuore?), un clima che permane, anzi esita in un baldanzoso crescendo (Vuoi dare un'occhiata e chiedere che c'è di nuovo, mio cuore?) I toni si fanno solenni e rarefatti in Der greise Kopf, i rigori dell'inverno aggiungono un velo brinato sulla testa del protagonista (La brina m'ha steso un velo bianco sul capo: e già mi credevo un vecchio e me ne rallegravo.) Ancor più tetro è lo stato d'animo espresso in Die Krähe, Lied che parla di un'inquietante presenza ornitologica (Una cornacchia era uscita con me dalla città, fino a oggi non ha smesso di svolazzarmi intorno.) Ma il messaggio dell'uccello è chiaro (Pensi di avere presto il mio corpo come preda?) Stupenda l'onomatopea delle foglie che cadono al suolo in Letzte Hoffnung, evocata da un bizzarro alternarsi di crome e accordi alternati nel registro grave e medio dello strumento (Ahimè, cade la foglia a terra, con essa svanisce la mia speranza; anch'io cado a terra, e piango sulla tomba della mia speranza.) L'onomatopea prosegue in Im Dorfe, dove l'abbaiare dei cani è genialmente riprodotto dalla rapida altenanza di due note (re e do) configurate in semicrome, mentre il tempo è in 12/8. Dei cani molesti ma quasi eroicamente sopportati in virtù della sua volontà di rimanere sveglio (Scacciatemi pure, o cani che vegliate, non fate ch'io riposi nella pace notturna!



Io, ho finito, io, di sognare: che ci sto a fare fra coloro che dormono?) Der stürmische Morgen, un Lied agitato, tempestoso, da Sturm und Drang, fiammeggiante (E rossi bagliori di fuoco s'accendono nel mezzo. Ecco una mattina adatta a me!) dice non senza una fine autoironia il Wanderer. Nel breve Täuschung l'illusione genera immagini danzanti (Una luce danza lietamente davanti a me; la seguo su è giù; volentieri le tengo dietro, e capisco come attiri il viandante.) Un segnale stradale premonitore compare in Der Wegweiser, questo come gli ultimi Lieder virano i loro colori verso regioni scure, il passo del viandante diviene sempre più trascinato, consapevole ormai della fine che si avvicina (Qui vedo un segnale, fisso davanti a me; devo prendere la via da cui mai nessuno è ritornato.) In Das Wirtshaus non è ancora giunto il momento del trapasso, anche se questo si avvicina a grandi passi (La mia strada mi ha condotto a un cimitero; qui voglio entrare, ho pensato fra me.) Il presagio dell'imminente dipartita è forte, ma non ancora reale (Crudele taverna, mi vuoi proprio scacciare? Avanti dunque, avanti, o mio fedele bastone.) Un soprassalto d'orgoglio si affaccia in Mut, dove emerge un coraggio insospettabile in un uomo stanco e sfiduciato. Coraggio! L'introduzione del pianoforte è secca, determinata, la durata del Lied breve, imperativa (Se la neve mi vola in faccia, la scuoto via. Se il cuore mi parla nel petto, canto con voce allegra.) Ora è viva la consapevolezza dell'inesistenza di un Dio che sulla terra ci protegga, l'uomo stesso deve dunque provvedere a diventarlo (Se non c'è nessun Dio sulla terra, noi stessi siamo dei!)



Angelico è al suo esordio Die Nebensonnen, il Wanderer sembra andare oltre la morte per fare ingresso in sfere celesti (Tre astri ho visto in cielo, intensamente li ho osservati;) ma lui sembra rigettarli, in favore dell'assenza di luce, nulla più gli occorre in questo processo di spoliazione (Andasse via anche il terzo! Al buio starò meglio.) Der Leiermann è l'ultimo Lied di Winterreise, una quinta vuota al pianoforte ci mette in uno stato di ambiguità tonale, che la mia sensibilità recepisce come svuotamento interiore (non si è più capaci, in queste condizioni estreme, di sentire tristezza o allegria), presago di un allontanamento definitivo da tutte le cose terrene (Al limitare del paese c'è un uomo con l'organetto; con le dita indurite gira la manovella.) Ma un ultimo messaggio, che in qualche modo consegna lo spirito all'immortalità, è contenuto nei versi: (Vecchio misterioso, e se venissi con te? Accompagneresti i miei canti col tuo organetto?), un'idea quasi salvifica il consegnare all'eternità il nostro spirito per mezzo dell'arte! Cosa rimane nell'ascoltatore dopo un'interpretazione così potente, viva e vitale come quella di stasera? Difficile dirlo sino in fondo. Personalmente, ho avvertito alla fine l'ingresso in uno stato di quasi "catatonia". Mi sono ritrovato in compagnia di questo Wanderer, in viaggio con lui nelle varie stazioni della mia vita, come in un accorato "amarcord" che ha dato un senso più profondo alla mia esistenza. Quello che posso consegnare alla penna in questa mia "critica" (ma come si può giudicare, a qualsiasi titolo lo si faccia, un capolavoro di quest'altezza?) non è la valenza artistica di Winterreise, ma come Blagoj Nacoski e Luca Ciammarughi siano riusciti a farcela entrare nelle viscere.



Si può lecitamente parlare di un grande affiatamento tra loro, quell'apodittica confidenza, quella sicurezza che sono frutto di un sodalizio artistico non epidermico né tanto meno occasionale. Il loro senso della misura e un notevole equilibrio cameristico non hanno tuttavia impedito il manifestarsi di atmosfere dal sapore estremamente contemporaneo, libere da appesantimenti accademici poiché costruite al momento e per questo integre nella loro sorgiva freschezza. Una musica foriera di sentimenti quanto mai presenti nell'uomo contemporaneo, al pari di quello di ogni tempo. Insomma, musica tutt'altro che da museo; un altra impressione che non posso rinunciare a confessare al lettore è la percezione di un palpabile respirare, non solo della voce ma anche delle trame pianistiche magistralmente olografate al pianoforte, poi unite in un coeso afflato poetico. Cos'altro dire se non "onore al merito"?




Alfredo Di Pietro

Ottobre 2022


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