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sábado, 21 de diciembre de 2024 ..:: Ortiz, Hume, Hely, Bertalotti. Ricercari e Canzoni ::..   Entrar
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 Ortiz - Hume - Hely - Bertalotti - Ricercari e Canzoni. Matteo Cicchitti. Minimizar


 

 

 

 

In questa sua nuova iniziativa discografica: "Ortiz - Hume - Hely - Bertalotti - Ricercari e Canzoni", Matteo Cicchitti, strumentista, direttore artistico e musicale frentano noto per il suo impegno nella pratica esecutiva storica musicale delle epoche rinascimentali, barocca e classica, abbandona il filone per piccolo ensemble in favore di un dialogo esclusivo con il proprio strumento. Protagonista assoluta di quest'album è, infatti, la viola da gamba, impegnata nell'esecuzione di brani composti in un ampio intervallo temporale: dal 1553 al 1698 circa. Se pensiamo alla produzione per strumento solo, la mente va subito ai celebri esempi delle Sonate e partite per violino BWV 1001-1006 di Johann Sebastian Bach o alle sue ancor più note Sei Suite per violoncello BWV 1007-1012. Ma le testimonianze si possono moltiplicare in ogni epoca, tra compositori noti, meno noti o pressoché sconosciuti, come Domenico Galli, musicista veneziano che compose delle Sonate per violoncello solo, sino ad arrivare al '900 con i Tre pezzi per clarinetto solo di Igor' Stravinskij. Tuttavia, questo non è il solo punto d'interesse di un disco che, sin dalla copertina, tiene a far sapere all'ascoltatore di contenere registrazioni in prima mondiale. Un lavoro che ruota attorno al perno dello strumento adoperato nelle trentatré brevi ma intense tracce, una viola da gamba realizzata con sapienza da Chiara Segaliari, straordinaria maestra liutaia genovese, costruttrice, riparatrice, restauratrice e decoratrice di strumenti musicali.

Senza tralasciare la dimostrazione di una certa audacia da parte dello strumentista, chiamato non solo a dover sostenere in autonomia l'onere dell'esecuzione, ma anche sollecitato a non ingenerare una certa monotonia in chi ascolta, cosa probabile vista l'apparente indifferenziazione di queste laconiche composizioni (la più lunga dura due minuti e trentasei secondi, appena quarantanove la più breve). È bene dire subito che Matteo Cicchitti non sembra disposto a cadere in questo tranello, coinvolgendo l'ascoltatore in uno sviluppo musicale personale e rigoroso allo stesso tempo. Ma è una sensazione, appunto, ingannevole, come di chi si limita a sentire una persona che parla in un certo tono senza però prestare attenzione a ciò che dice. Si vedrà allora che la bussola idonea a guidarci in questo viaggio dalle molteplici stazioni è proprio lo spirito di conversazione, se vogliamo immaginario, sempre connotato da quell'approccio improvvisativo in grado di donare grande freschezza. Come risulta chiaro già dal titolo, quattro sono gli autori contemplati in questo CD. Diego Ortiz (Toledo, prima del 1525 - Napoli?, dopo il 1570) fu un compositore, musicologo e gambista spagnolo della cui vita si conosce molto poco, neanche i confini temporali della sua esistenza sono acclarati con precisione. La nascita viene posta nella città spagnola di Toledo, intorno al 1510, mentre la morte avvenne probabilmente nel 1570. Sappiamo che nel 1553 visse nel Viceregno di Napoli, per poi assumere nel 1558 le funzioni di maestro di cappella presso quella napoletana del Viceré.

Tappa importante fu la pubblicazione del "Tratado de Glosas", il 10 dicembre 1553 a Roma, contenente vari brani per viola da gamba, per lo più elaborazioni di alcune melodie e composizioni note all'epoca, testo fondamentale per lo sviluppo della musica strumentale. A Venezia, invece, pubblicò in un secondo momento una raccolta di brani polifonici sacri. Anche la vita di Tobias Hume (nato tra il 1579 e il 1575, morto nel 1645) è avvolta da un certo mistero: fu un gambista e compositore inglese di cui davvero poco si conosce. La supposta data di nascita del 1569 è stata ipotizzata sulla base del fatto che all'epoca occorreva avere sessant'anni per essere ammessi alla Charterhouse di Londra, luogo riservato ai pensionati dell'esercito, dove in effetti lui entrò nel 1629 in qualità di fratello povero. Si sa che nel corso della sua esistenza fu un soldato professionista (forse mercenario), noto per la sua rudezza, ufficiale sia dell'esercito Svedese che di quello Russo. La musica non fu dunque la sua professione, ma la praticava per diletto. La sua prima opera risale al 1605 e ha per titolo The first Part of Ayres (o Musicall Humors), dedicata a un folto gruppo di Lord e aristocratici vari. Contiene in tutto 117 brani, di cui uno per lyra viol (un tipo di viola da gamba inglese diffusa nel XVII secolo, bassa e piccola, il cui nome deriva dal lirone), numerosi brani "a soggetto" oltre che Pavane, Gagliarde, Arie, Allemande. La seconda è invece del 1607, recante il titolo Captain Humes Poeticall Musicke, costituita da 25 brani per viola e liuto, dedicata alla Regina Anna. Anche se non professionista, fu certamente un virtuoso della viola da gamba, opponendosi alla moda imperante del liuto.

Hume non era certo persona accomodante, da autentico guerriero: la controversia assunse toni piuttosto aspri, tanto da indurre il grande John Dowland a pubblicare nel 1512, nella raccolta A Pilgrimes Solace, un deciso rifiuto e confutazione delle idee di Hume. Fu pure noto come burlone, cosa dimostrata dai commenti e dalle illustrazioni che inseriva nelle sue pubblicazioni musicali. Ancor meno si sa di Benjamin Hely (? - 1699) del quale non sono purtroppo giunte a noi congrue informazioni biografiche. Conosciamo che il grande insegnante della scuola violista inglese raccolse le sue opere in "The Complet Violist" (1699) e in due manoscritti contenenti sei Trio Sonate per due viole basse e basso continuo, oltre a una Suite per due violini bassi. In particolare, The Complet Violist, lavoro che gli fu commissionato e finanziato dai liutai John Hare e Barak Norman, è la raccolta da cui provengono le composizioni presenti in questo CD. Sono, come recitano le dettagliate note di copertina, composizioni basate su motivi di diversa provenienza: arie improvvisative di musica da ballo, intonazione di melodie del Salmo. Certamente maggiori sono le notizie pervenuteci di Angelo Michele Bertalotti (Bologna, circa 1665 - Bologna?, 1747), compositore che iniziò la sua formazione musicale nella città natale. È lì che apprese l'arte del canto, sotto la guida dei migliori maestri della città. Trasferitosi in seguito a Roma, dove risiedette dal 1687 al 1690, proseguì gli studi musicali e intraprese l'attività di cantore ecclesiastico. Tornò poi a Bologna, dedicandosi a quella che sarebbe divenuta la sua occupazione principale per il resto della vita, cioè l'insegnamento del canto e l'educazione degli allievi.

Nel 1693 fu nominato maestro di canto nelle Scuole Pie di Bologna. Godette di solida fama, grazie alla dedizione dimostrata nell'insegnamento, attività in cui risaltò per originalità e spirito innovatore. Fu personalità dotata anche di notevole sensibilità estetica e una profonda conoscenza della tecnica. Pubblicò la sua prima opera nel 1698. Nel 1703, come riconoscimento delle sue qualità, l'Accademia bolognese dei Filarmonici lo nominò suo socio e due anni dopo, nel 1705, entrò a far parte del coro della cattedrale di S. Petronio in qualità di basso. Da quel momento s'interrompono le notizie sulla sua vita, sappiamo soltanto che morì il 30 marzo del 1747. Più che alla sua produzione musicale, non cospicua, egli deve la sua fama all'attività di teorico e a due opere che furono ristampate, quasi ininterrottamente, per due secoli in Italia e all'estero. La prima, del 1698, s'intitola "Regole facilissime per apprendere con facilità, e prestezza li canti fermo e figurato dati alle stampe per comodo delli putti delle Scuole Pie di Bologna", mentre la seconda fu edita ben quarant'anni dopo, intitolata "Solfeggi a canto e alto dati alle stampe per comodo delli putti delle Scuole Pie - dedicati agli illustrissimi signori governatori di detta opera da A. B. decano della perinsigne Collegiata". Sono titoli particolarmente lunghi (come si usava all'epoca), comprensivi di molteplici informazioni. Dal maestro Cicchitti era lecito aspettarsi molto più di un compitino, per quanto ben riuscito, come conferma questa registrazione in prima mondiale, ma una rivisitazione musicale di straordinaria accuratezza e freschezza. I brani contenuti in questa silloge (con specifico riferimento a quelli di Bertalotti), assumono notevole valore anche perché antesignani di quell'intima unione tra didattica e arte che non sempre si è verificata nel corso della storia.

Pensiamo a ciò che sarebbe avvenuto in seguito con Domenico Scarlatti e i suoi "Essercizi per gravicembalo" oppure con gli Studi Op. 10 e 25 di F. Chopin in epoca romatica. Sono considerazioni che avvalorano questo "Ortiz - Hume - Hely - Bertalotti - Ricercari e Canzoni" come album articolato, recante la voce di quattro autori, non un centone poiché mirato a formulare un discorso unitario, focalizzato sull'arte improvvisativa del Ricercare. Ad aprire le danze sono le quattro Recercada di Diego Ortiz, detto "Il toledano", tratte dal suo "Tratado de glosas sobre clausulas y otros generos de puntos en la musica de violones". Le sue Recercada Prima, Segunda, Tercera e Quarta emanano un chiarore ispanico, sostenute nella lettura da un autentico spirito di ricerca stilistica e timbrica con il quale vengono superate di slancio le "strettoie" della partitura. Se l'effetto che si voleva conseguire è quello di far apparire ogni cosa come una sorpresa, direi che è stato pienamente raggiunto. È musica dal respiro antico, continuamente fluttuante tra stati d'animo ora distesi ora concitati, alimentati da una rara maestria nel governare l'arco, in intensità, accelerazioni improvvise e altrettanto repentini allentamenti, con l'obiettivo di metamorfizzare lo strumento in persona dialogante. Sotto questo segno sfilano le Recercada, come d'altronde ognuno dei trentatré brani. La Tercera esordisce con toni meditativi, assertivi, che prestono muovono verso regioni più mosse. In "A galiard" di Tobias Hume c'è un cambio di colore: abbandonate le sfumature spagnole, il carattere della musica vira verso quello di danza saltata in movimento d'allegro moderato, qui emerge una fresca e spontanea vitalità, l'idea del movimento viene efficacemente trasmessa per mezzo di un dialettica vivace e finemente lavorata sul piano della microdinamica.

Accenti più amorevoli, quasi assorti, si manifestano nel brano "Love's Almaine", che virano verso il giocoso nel pezzo "A toy". Con lieta liricità esordisce "A merry meeting", un allegro incontro reso frizzante dal serrato chiacchierare. Sono brani pieni di vita e spirito, tratti dalla sua raccolta "The First Part of Ayres, French, Pollish and others together, with Pavines, Galliards, and Almaines", risalente al 1605. Qui la rudezza che era propria del personaggio sembra farsi da parte in favore di toni colloquiali più distesi. L'ascolto prosegue, facciamo ingresso nel mondo ammantato di spiritualità di Benjamin Hely; da "The complete violist", Matteo Cicchitti interpreta quattro pezzi molto suggestivi. Dagli schietti echi chiesastici, lo Psalm 100 & Psalm 92 avvolgono l'ascoltatore in prolungate armonie, suggestive del tempo di riverbero di una grande chiesa. L'emulazione timbrica è puntuale, delle arcate lente lasciano apprezzare con chiarezza il diffondersi degli armonici generati dalle corde a dal legno della viola da gamba. "Minuet" e "Bourrée" sono le due danze alle tracce dodici e quattordici, incalzanti con i loro passi, che siano quelli piccoli della prima (pas menu) o quelli lesti e vigorosamente accentati sul battere della seconda. La parte del leone in questo disco la fa l'italiano Angelo Michele Bertalotti, con ben diciannove brani tratti dalle sue "Regole facilissime per apprendere con facilità, e prestezza li canti fermo e figurato dati alle stampe per comodo delli putti delle Scuole Pie di Bologna". Dichiaratamente didattici dunque, ma che di certo non lesinano quanto a ispirazione e qualità artistica.

Nei Ricercari del compositore bolognese c'è lo scoperto intento d'illustrare le regole più importanti del canto fermo e figurato, quindi un trattato, che ci aspetteremmo meramente teorico, pur se con risvolti sulla pratica dell'esecuzione. Il non aver a che fare con quell'arte alata che dovrebbe far presa sul nostro spirito, generando emozioni, non è certamente una colpa da addebitare a dei brani di addestramento tecnico. Eppure, queste laconiche composizioni hanno rivelato nel tempo un valore che trascende abbondantemente le "modeste" intenzioni dell'autore, come dimostra il gran numero di edizioni che seguirono. È davvero Matteo Cicchitti getta lo sguardo oltre, riesce a travalicare l'intendimento strettamente didattico confermandosi come personalità inventiva, tesa a fornire una visione rispettosa della prassi esecutiva storica e al contempo del suo personale sentire, che è in queste pagine si rivela raffinato e ricco di umani accenti. All'inizio del trattato possiamo leggere: "Benigno Lettore. Comparisce sotto le tue pupille questo picciol libro di Musici rudimenti, non già per far da Maestro a te, che meglio di me sapresti insegnare ad altri, ma solamente per abbreviarti la fatica." Sono parole non dissimili da quelle del grande Domenico Scarlatti, che prepose ai suoi "Essercizi per gravicembalo" questo avvertimento: "Non aspettarti, o dilettante o professore che tu sia, in questi componimenti il profondo intendimento, ma bensì lo scherzo ingegnoso dell'arte, per addestrarti alla franchezza sul gravicembalo. Né viste d'interesse, né mire d'ambizione, ma ubbidienza mossemi a pubblicarli."

In realtà, queste regole facilissime, come le chiama l'autore, contengono una vera e propria summa di tecnica e arte, in un repertorio che comprende anche dei brevi insegnamenti sulle chiavi, sull'ordine grave e acuto, sul numero e le caratteristiche delle note, sulle pause, le mutazioni, il modo autentico e piagale. Un formidabile corredo che ha delle importanti ricadute sull'espressione dei più vari affetti umani e, come tale, si eleva a dignità di vera arte. C'è però da approfondire un aspetto che ho accennato all'inizio. È ancora l'ascoltatore che, ipoteticamente, avanza dei dubbi sulla capacità di questa registrazione a rappresentare per lui un qualcosa di vario, divertente e non monocorde. Si chiede, in buona sostanza, se l'ascolto di uno stesso strumento protratto per una cinquantina di minuti possa in realtà dilettarlo. Quello che personalmente sento di dire, riportando le mie più intime sensazioni, è che mi sono trovato al cospetto di una viola da gamba dall'incredibile ricchezza armonica. Non un singolo strumento pare di sentire, ma un'intera orchestra d'archi. Ogni volta che il maestro poggia l'archetto sulle corde, si sprigiona puntualmente una tale messe di armonici, evidenti e reconditi, da inebriarci, farci letteralmente perdere nei meandri del mistero sonoro, rinnovando perpetuamente delle freschissime sensazioni. Per Matteo Cicchitti, la forma del Ricercare non ha solamente una valenza musicologica, cioè di composizione strumentale del tardo rinascimento e del primo barocco che fa riferimento a una forma antica di fuga, nel XVI secolo attribuita alle forme della toccata, canzona e fantasia, ma anche come imperdibile occasione di elaborare sullo strumento raffinate sonorità, sempre all'inseguimento di una precisa pertinenza "linguistica" e una sensorialità che assume valore autarchico.

La marcata espressività che contraddistingue questa forma, simile al Preludio, è stata indubbiamente raggiunta dando fondo alle possibilità timbriche dello strumento di Chiara Segaliari. In tutte le tracce di cui è composto il CD è palese l'intento di ricreare sullo strumento l'intera gamma di toni che si usa nel parlato, la loro elevazione, alta o bassa, e il volume, inteso come variazione dinamica soggetta ai moti d'animo. Abbondano le occasioni in cui la nostra attenzione viene catturata da questa "vis" dialettica. Sotto il segno di un carattere improvvisativo, seppur simulato, rimane costante la sensazione della scoperta, di un qualcosa che non prevedevamo avvenisse. Non manca qua e là qualche rimbrotto, favorito dalla rugosità in gamma bassa dello strumento. In altri frangenti sentiamo "Il suono, rapido e agile come un violino" (la citazione è tratta da "The Division Viol, or the Art of Playing upon a Ground", trattato di pratica su come suonare la viola da gamba scritto da Christopher Simpson nel 1659). In ogni caso prevale quella fluidità, emulata dalla progressione dell'arcata, suggestiva dell'eloquio. Al di là di queste analisi, per chi ascolta sarà come scoperchiare un forziere contenente dei preziosi che per molto tempo sono stati preclusi alla vista, ma che oggi abbiamo la fortuna di poter ammirare in tutta la loro intrinseca luminescenza. In questa registrazione traspare una grande familiarità con la prassi improvvisativa solistica, sintomatica dell'indubbia competenza di Matteo Cicchitti nell'ambito della pratica esecutiva storica delle epoche rinascimentali, barocca e classica.

D'altra parte, l'estro con cui modula l'espressività nei vari brani, non scade mai nell'arbitrario, memore che d'improvvisazione tematicamente orientata si tratta, vale a dire rispettosa dell'elemento melodico/ritmico posto alla base dello sviluppo. Allora questa paventata monotonia non ha motivo di verificarsi, se non a un ascolto distratto, sbrigativo. Scusate se batto su questo punto, ma alle motivazioni dichiarate, mirate a sconfessare tale ipotesi, aggiungo la forza d'eloquio che si sprigiona da queste concise composizioni, e, soprattutto, la malia di una timbrica espansiva e avvolgente, grazie alla quale anche l'ascoltatore meno smaliziato troverà un forte coinvolgimento. Come in una sorta di accattivazione, che avviene quasi a nostra insaputa per mera sollecitazione sensoriale, le preclare capacità strumentali, tecniche ed espressive del maestro Matteo Cicchitti sortiscono così un sicuro effetto. Quel processo di metamorfizzazione dalla musica alla parola trova allora un suo preciso riscontro nella sottile variazione dei toni, modulati attraverso un'impredicibile gamma dinamica e di accorte variazioni agogiche, atte proprio a ricreare il fluire discorsivo. Matteo Cicchitti qui appare in veste di abilissima "voce narrante", un artista che da amabile conversatore in stile galante ha saputo trasformarsi in incisivo retore, capace di reggere un vasto teatro di frangenti. La sua esecuzione dimostra una rara intelligenza, nel diversificare il fraseggio, la sonorità e gli accenti a seconda delle occasioni, per non parlare della splendida cavata, oscillante tra il marcato, nei momenti di maggior concitazione dialettica, al diafano nei momenti più rarefatti.

Eccellente la cattura sonora di Maurizio Paciarello, limpidissima, dinamica e idonea a non lasciar nulla per strada dell'incredibile dovizia armonica della viola da gamba di Chiara Segaliari. Il naturale riverbero che si crea nel Santuario di Maria Santissima Madre di Dio, opera architettonica dell'XI secolo sita a Santa Maria Imbaro (CH), accresce l'incantesimo timbrico insito nello strumento da Matteo Cicchitti. Da audiofilo, raccomando l'ascolto di questo CD con un impianto di pregio, ancor meglio con un'ottima cuffia, adeguatamente amplificata. Un plauso meritano anche le note di copertina, molto accurate, stilate da Francesco Rocco Rossi, docente al Pontificio Istituto Ambrosiano di Musica Sacra di Milano. Queste vanno ben oltre il carattere di generale compendio, assumendo il valore di vero e proprio studio, tra l'altro indicativo della serietà con cui è questo progetto discografico è stato affrontato.


Alfredo Di Pietro

Dicembre 2022


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