BARTOLOMEO ALOIA
UNA VITA PER L'ALTA FEDELTÁ
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È una lunga storia quella di Bartolomeo Aloia, bolognese di nascita, uno dei progettisti di alta fedeltà più gloriosi e importanti che abbiamo nel nostro Paese, immune da una sorta di autoisolamento integralista per la sua disposizione all'insegnamento e alla divulgazione. Una genialità precoce la sua, incubata già da ragazzo di scuola media, quando giocherellava insieme ai suoi compagni con dei piccoli apparecchi della Scuola Radio Elettra. Giunto al Liceo, alle prime prese con la Fisica, cercava di riprodurre nel suo laboratorio romano ciò che poteva di quello che studiava. Iniziava così a ritagliarsi degli spazi di sperimentazione studiando, per esempio, il rocchetto di Ruhmkorff insieme a un amico, ne avvolgeva volenterosamente le spire. Anche con la famosa bobina di Tesla si dava da fare. Tutto ciò avveniva tra le quattro mura di un locale, spinto dalla predisposizione a realizzare un qualcosa di personale. In realtà, dedicava a questi esperimenti solamente la metà del tempo di cui disponeva, essendo studente, mentre l'altra metà la dedicava all'astronomia, la grande passione della sua vita. Arrivato a Roma nell'ottobre 1945, qui trascorse la sua gioventù, lasciando definitivamente la capitale a vent'anni, nel 1959, senza farvi più ritorno.
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Da persona molto concreta, che non ama indulgere in eccessivi intellettualismi, cercò disperatamente di mettere insieme la lente del nonno per riuscire a fare qualcosa, poi costruì dei piccoli cannocchiali, arrivando a realizzare anche un telescopio. Una passione quella per l'astronomia che l'ha seguito e lo segue ancora oggi, lasciando poi il segno in queste creazioni. Attualmente permane ma non è più operativa, solo nel periodo del Liceo lo è stata, quando lui aveva tanto tempo a disposizione. Allora studiava poco, aveva il pomeriggio libero e tutte le sere faceva osservazioni. Abitava un po' fuori Roma e il cielo quasi sempre sereno favoriva le sue ispezioni celesti. Qui oggi a Torino, invece, anche se volesse sarebbe un'idea irrealizzabile perché il cielo ha perso la sua trasparenza. Uno dei suoi più grandi piaceri sarebbe quello di rivedere il firmamento poiché sono anni che non ne ha la possibilità, da quando ha smesso di andare in montagna. Una passione che trapela anche nell'articolo che ha scritto per la rivista AudioGallery e che gli è piaciuto porre alla mia attenzione: "Henrietta Leavitt. La donna che misurò il cielo." Ma ritorniamo in ambito audio perché ogni periodo dell'esistenza di Aloia è degno di considerazione e interesse.
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Sulla scorta di quest'esperienze fatte in elettrotecnica, più che in elettronica, la sua attività nell'alta fedeltà è iniziata successivamente, terminato il Liceo. Un approccio che prende il via con il primo apparecchio costruito, il preamplificatore VAP2 della famosa Heathkit americana, abbinato a un finale con due EL84. Sua moglie ai tempi gli consentì di tenere in salotto una grossa cassa che montava un altoparlante Philips da 30 centimetri. Ricordi che si affacciano alla memoria e altri che premono sovrapponendosi ai primi. Una stanza della sua casa di Belluno era adibita a laboratorio, quando la sera tornava dal lavoro si dedicava alla costruzione dei suoi apparecchi, tra questi c'era pure uno strumento di misura, un oscilloscopio, completamente concepito da lui. Ne aveva messo insieme uno già in precedenza con un kit di montaggio della Radio Elettra, ma il compito di semplice assemblatore gli stava evidentemente stretto. Il percorso dell'alta fedeltà si è materializzato quando, arrivato a Torino, si era messo a fare questi lavoretti insieme a un amico in un garage, finché un bel giorno il grande importatore Reinaudo Leini Torino, essendo venuto a sapere da un amico che lui faceva questo tipo di sperimentazioni, gli mise in mano un amplificatore ERA, marca molto famosa a quei tempi.

Preamplificatore STEG SL 01 e amplificatore finale di potenza STEG ST-200 BL

Amplificatore finale di potenza Bartolomeo Aloia ST-240
Produceva anche un giradischi molto bello. Un passo importante per la crescente visibilità del nome Bartolomeo Aloia, che portò a termine la riparazione, cui ne seguirono delle altre, tanto da conquistarsi la fiducia dell'importatore torinese e diventando il suo tecnico riparatore ufficiale. Parliamo dell'importatore più grande in Italia, foriero di marchi come Klipsch, Marantz, McIntosh, Altec Lansing, Audio Research, Phase Linear, Magneplanar. Si può dire che tutti i prodotti arrivati in Italia sono passati da lui, in seguito magari anche da altri, ma lui è stato il primo, tra l'altro amico personale di Paul Wilbur Klipsch, colonnello dell'esercito americano e creatore d'importanti diffusori. Così, pur continuando la sua occupazione primaria, che era quella di militare, la sera lavorava in questo laboratorio, all'insegna di una schietta ecletticità. A un certo punto decise insieme al suo amico di chiamare quest'ipotetica, ancora inesistente ditta, con il nome di STEG. Alla fine (era il 1970) decise di lasciare l'impiego da militare per dedicarsi completamente a questo marchio appena fondato, con sede in Torino. Giocò la carta vincente di una produzione audio che avrebbe conquistato l'orecchio e il cuore di tanti appassionati, con oggetti ancora oggi ambiti.
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Consentitemi una piccola, nostalgica nota personale: avevo dodici anni quando sentii per la prima volta un amplificatore STEG in un negozio di Andria, mio paese natale. Anche Aloia ha una storia da raccontare, vissuta proprio in questo grande comune pugliese. Nel 1980 partecipò alla fiera audio di Bari appoggiato a un amico di Andria, il quale era rappresentante della STEG per la Puglia. Parlava alle due di notte alle radio private, dove arrivavano tante telefonate di appassionati stupiti della sua presenza, che dietro il microfono ci fosse un progettista così importante. Interloquiva con loro in un mondo ancora privo del Web e degli smartphone. Nei giorni della fiera lui risiedeva quindi ad Andria in casa dell'amico. Dopo questa nostalgica digressione torniamo a bomba alla STEG, sita allora a Torino in via Madama Cristina 14. In questa locazione è venuto alla luce il primo grande amplificatore del marchio, l'ST-200, frutto di un'azienda all'inizio votata alla sonorizzazione di locali da ballo e discoteche e che nel contempo prestava assistenza tecnica per Reinaudo. Anzi, la scintilla ideale scoccò proprio da quest'attività: a forza di riparare apparecchi, lui e il suo socio si chiesero se magari non fosse il caso di progettarne e produrne in proprio.

Amplificatore finale di potenza ST-260
Perché, in buona sostanza, non sfruttare l'esperienza accumulata nell'ispezionare e riparare tanti circuiti elettronici? Vedere le soluzioni implementate in tante realizzazioni non faceva altro che accrescere le loro conoscenze. Partorito l'ST-200 nel 1972, nel 1973 l'azienda si trasferì in Corso Giambone 63, destinato a diventare la sede storica della STEG. Era un locale di 400 metri quadri dove sostanzialmente prese avvio la storia della produzione di elettroniche, quella che in seguito si è vista e si è sviluppata nel panorama dell'alta fedeltà. Il modello ST-200 fu molto d'elite, ne furono prodotti pochi, solo un paio di decine. Continuando a essere sempre discotecari, facevano amplificatori per quell'uso, di diversa taglia in base al tipo e alle dimensioni del locale cui erano destinati. Quel primo modello era nato appunto per soddisfare le necessità della sonorizzazione delle discoteche. Diverso il discorso per il successivo ST-400, che era diventato un amplificatore a doppia faccia, se così possiamo dire, sia domestico che professionale. L'attività del marchio andò avanti sino al 1978, in quel periodo cominciava ad affacciarsi l'esoterismo, concepito come un'alta fedeltà riservata a pochi eletti, una sorta di Hi-End "ante litteram".
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Cose speciali che anche esteticamente si distaccavano dal classico chassis fatto in un certo modo, causando nuove aspettative ed esigenze che non potevano essere appagate da una ditta che nel suo punto massimo poteva contare su non più di una ventina di collaboratori. Bartolomeo Aloia comprese che stava finendo una fase storica dell'HiFi, lasciò la STEG e si mise a lavorare da solo battezzando la sua nuova realtà con il suo nome e cognome. La sede si spostò in via Montevecchio 19, sempre nel capoluogo piemontese. Si parlava una volta dei ragazzi di via Panisperna, quel noto gruppo di scienziati italiani che produsse studi d'importanza storica nell'ambito della fisica nucleare, allora a uno dei giovani che lavorava con lui venne l'idea di chiamare l'equipe "I ragazzi di via Montevecchio". Anche lì non erano in tanti a lavorare, solo cinque persone nel punto apicale della produzione, ma in quel momento sono nate le cose più sofisticate partorite dalla sua mente di geniale progettista. Per la prima volta in Italia fu implementato il Totem Pole, una tipologia circuitale che prevede un transistor PNP e un NPN disposti a emettitore comune, con le basi accoppiate insieme, in cui il segnale d'uscita veniva prelevato dall'emettitore dell'NPN e dal collettore del PNP.

Preamplificatore valvolare Bartolomeo Aloia VTPA "The last"
Il primo a introdurlo in Italia fu proprio Aloia, mentre i primi a utilizzarlo furono i giapponesi. Fu inventato in America per scopi televisivi poiché con questo si poteva pilotare un cavo a bassa impedenza e lunga distanza per trasmettere il segnale in bassa frequenza. Una quarantina d'anni fa il nostro amico introdusse un altro importante circuito, e lo è tutt'ora, definito "Topoibode", abbreviazione di Totem-Pole-Ibrid Cascode, una configurazione di sua invenzione adibita esclusivamente alla preamplificazione fonografica di testine MC. Pochissimi in realtà lo hanno usato. Tornando al Totem Pole, questo guadagnava 3000 volte nella versione MC (Moving Coil) e 400 volte in quella MM (Moving Magnet). Già ai tempi della STEG le riparazioni erano state abbandonate, lasciata alle spalle un'illustre attività di assistenza tecnica, la maggiore del Piemonte grazie al grande successo riscosso negli anni 1973-1974. Aloia assisteva con i suoi collaboratori una decina di case, tra cui la Farfisa, la Hammond, produttrice di organi. Erano talmente pieni di lavoro che nel 1974, per dedicarsi alle proprie costruzioni, dismisero per sempre le riparazioni.
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Si continuava comunque a produrre elettroniche per le discoteche, l'ST-400 aveva acquisito fama di amplificatore principe per queste, ma era stato realizzato anche dell'altro, come un apparecchio per un tipo di effetto, le cosiddette luci psichedeliche. Era molto particolare, non ne esistevano di altri fatti in quel modo e ne furono venduti parecchi. Quando fu abbandonata la STEG e introdotto il nuovo marchio Bartolomeo Aloia, l'attività nel campo delle discoteche si ridusse grandemente, limitandosi solo ad alcune in quanto il lavoro principale rimaneva quello delle apparecchiature esoteriche. Ad ogni modo, data la notorietà del marchio ogni tanto qualcuno nel campo dei locali da ballo si faceva avanti. L'ultimo intervento in tal senso fu nel 2000, un episodio particolare che è bello raccontare. In quell'anno si rivolse a lui una persona della zona di Novi Ligure, dove già Aloia più volte aveva prestato la sua opera. Non aveva tuttavia alcuna intenzione di fornirgli il suo aiuto e per dissuaderlo chiese in compenso una cifra esorbitante: venti milioni in contanti. Fatto sta che la sua richiesta fu esaudita e, "obtorto collo", dovette soddisfare le richieste di questa persona. Quelle poche discoteche che si fecero avanti furono cio nondimeno accontentate nelle loro richieste d'aiuto.

Diffusori Bartolomeo Aloia Apocalipse Now
Anche la nascita del finale di potenza ST-260 ha una storia tutta sua che si staglia oggi su scenari mitici. Ne furono fatti quattro prototipi, quando la ditta era già in via Montevecchio, venduti poi a una discoteca. Bartolomeo mi racconta una storia sulla quale è opportuno soffermarsi, e non che le altre non siano degne di nota. Un giorno si trovava sul luogo di una di queste, nel prato antistante al locale, durante un intervallo di lavoro dell'orchestra. In questo frangente veniva attivata la discoteca con il suo impianto, ma la gente se ne disinteressava e usciva fuori all'aperto, perché, per quanto il suono dell'impianto potesse essere buono non sarebbe mai stato in grado di raggiungere la realtà. A un certo punto un cantante (di cui Aloia non ricorda il nome), ascoltando non il solito suonaccio da discoteca entrò sorpreso nel locale e chiese da dove provenisse quella musica. Allora venne emesso il verdetto: "Quest'amplificatore s'ha da fare!", parafrasando la famosa frase manzoniana, come poi in realtà avvenne. Una stretta di mano e via, Aloia non rivide mai più quel cantante. Per inciso, questa frase è mutuata dal titolo di un bel libro di Vittorio Buttafava, il grande direttore della rivista Oggi. Certe volte capita d'incontrarsi, ci si stringe la mano per poi non rivedersi mai più, un evento che lascia pensare, come se in un tempo brevissimo lasso temporale si condensasse un'emozione ricordevole.
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Il progettista alla fine si costruì un bel nome, la sua ditta iniziò a esportare in Germania, rapporto in seguito interrotto perché l'importatore si era messo a produrre lui stesso gli apparecchi progettati da Aloia. Si recò in America per partecipare a una fiera e contestualmente ricevette alcune richieste, che però non fu in grado di soddisfare. Ne arrivò una da una signora canadese che desiderava avere un campione. Il distributore svizzero, che agiva qualche volta anche in Germania, avrebbe dato una mano ad Aloia e gli chiese di fare un prezzo piuttosto basso. Lui però non realizzò quest'esemplare, non per cattiva volontà ma perché non aveva la capacità e il tempo necessari, la capacità forse si ma il tempo no. Non parlava bene inglese, quando andò in America poteva contare solo sulle reminiscenze di quello imparato a scuola, s'impegnò allora a fare un po' di lezioni di quella lingua. L'Istituto per il commercio estero aveva comunque messo a disposizione della ditta piemontese un interprete. Aloia si recò in America insieme a Vincenzo Biasella, che fu l'organizzatore del viaggio, essendogli debitore perché non era mai stato in questo Paese ed era un po' impacciato, mentre Biasella aveva più esperienza. In realtà Bartolomeo conosceva l'inglese, anche perché doveva rapportarsi con l'importatore tedesco, ma soprattutto quello tecnico.

Amplificatore finale di potenza Bartolomeo Aloia ST-2000
Ha dichiarato nel corso dell'intervista di sentirsi un tipo piuttosto strano, che quando abbandona una certa branca del sapere dimentica tutto. In latino era bravissimo, faceva delle traduzioni dall'italiano in latino, che è più difficile del contrario. Costruiva le frasi secondo il criterio della sintassi di quella lingua. Oggi invece quando vede dei testi in latino non riesce a tradurre una parola. Per i quattro o cinque giorni della sua permanenza in USA fu in contatto con il pubblico americano e non ebbe bisogno di alcun interprete, parlando però di cose tecniche, non di letteratura o filosofia. Il lavoro con la Germania terminò e gli ultimi anni sono quelli che conosciamo. Dopo l'ST-400 nacquero in via Montevecchio gli apparecchi ultraesoterici: alcuni preamplificatori, il finale di potenza ST-2000, ST-2001, l'ST-2001 Millennium, che assiemava nello stesso telaio due ST-2001, oggetti ancora oggi di tutto rispetto. In realtà nel Millennium i telai erano tre, se contiamo anche quello di pilotaggio in tensione e quello di alimentazione. Parlando del finale monofonico ST-2001, questo si presentava come un blocco unico, imponente nelle dimensioni e nel peso, inglobante sia la parte di amplificazione in tensione che quella di alimentazione e di potenza.
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Un bell'impegno fisico per tre persone manovarlo, cosa impossibile per due soli individui. Senza dimenticare l'ST 2001 Renaissance, un vero colosso, finale monofonico Top di gamma di Bartolomeo Aloia. Circuitalmente configurato come un ibrido, con stadio d'ingresso a valvole (tre 6072 e una 6SN7) e stadio d'uscita a stato solido. Una monumentale torre di quasi 90 Kg di peso. Poi c'è il VTPA The last, una macchina che, insieme all'ST-2001, quando viene ascoltata da persone che possiedono elettroniche con cifre a quattro zeri queste si mettono a piangere a vanno via con la coda tra le gambe. Ma il "bello" è che non ne nascevano delle vendite, succede nel momento in cui screditi così platealmente un appassionato che ha speso 40, 50 o 60 migliaia di euro. Il perché è sin troppo semplice e sta nel fatto che queste persone non possono liberarsi di quanto hanno comprato perchè ci rimetterebbero troppi soldi. Succederebbe per molte elettroniche oggi in commercio. A un dato momento intervengono anche le mogli a redarguire i mariti sull'inopportunità della vendita. Questi ascolti fatti fare ad audiofili che hanno speso tanto, sembra strano ma non rendono. Attualmente Bartolomeo Aloia non s'impegna più in produzioni ma costruisce un apparecchio alla volta su ordinazione, potendo contare della collaborazione di un solo aiutante.

Amplificatore finale di potenza Bartolomeo Aloia ST-2001 Renaissance
È il caso dello Jepun, un preamplificatore dalle caratteristiche molto particolari che ho avuto il piacere e l'onore di ricevere per una recensione dalle sue stesse mani. Un oggetto che non era neanche suo, prestatogli dall'amico per cui lo aveva fatto. Ci sono tuttavia delle rarissime eccezioni, come l'amplificatore finale di potenza Antu-2000, presente nel suo laboratorio e non ordinato da nessuno, protagonista di un memorabile ascolto con i diffusori Mini Apocalipse Now in fase di prototipo. Bartolomeo mi confessa di ricevere quel minimo di ordini necessari per tenere in piedi quella che lui chiama baracca, con i suoi relativi costi. Lo Jepun, dice orgogliosamente, è un colpo di genio, mentre la cassa prototipo che ho appena citato la ritiene un colpo di "culo". Ma quale è stato il suo rapporto con le riviste audio? Meraviglioso. Per Suono ha scritto cento articoli, una rivista che per lui è stata come L'Audiophile per Jean Hiraga. Con gli articoli su Suono si è fatto pubblicità. Quando "inventò" l'amplificatore ST-240 mise in atto tutte le nuove idee che aveva, cominciando innanzitutto a ridurre enormemente la controreazione. La notte non riusciva a dormire al pensiero di come potesse permettersi di presentare un amplificatore che aveva lo 0,1% di distorsione, quando il più scarso degli altri aveva lo 0,01%.
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Il legame con Suono divenne talmente stretto che gli ordini venivano inoltrati alla rivista, che di rimando inviava a lui il bigliettino dell'ordine, con l'accordo che poi avrebbe versato a Suono il 30% della cifra incassata. Aloia però non dette mai quella percentuale. Quando il suo lavoro di redattore proseguì con Fedeltà del Suono, non gli fu pagata la bella cifra di 65 milioni di lire. Naturalmente quei 65 milioni non gli furono mai dati, come mai lui dette quel 30% a Suono. Il 31 dicembre 1982 entrò in vigore la famosa legge del 16%, quella che stroncò il mercato, ciò significa che Aloia il primo gennaio 1983 era disoccupato. Tant'è che nel 1983 non poterono fare il SIM a settembre, ma rimandarlo a giugno, permettendo così ai distributori di partecipare. Si verificò una crisi spaventosa, si parlò all'epoca di tratte tornate indietro. Nel 1983 la ditta andò al SIM, con i distributori che erano in ginocchio, Elettronica Lombarda sparì con la cassa e la segretaria e non si seppe mai dov'era finita. Aloia entrò in quel salone che aveva quaranta ordini dell'amplificatore ST-240 provenienti da Suono (allora si chiamava Audiophile 100 Watt).

Amplificatore finale di potenza Bartolomeo Aloia ST-2001 Millennium
Davanti a quest'enormità di richieste si disse che era il caso di chiedere un acconto, ipotizzando una cifra di 50.000 lire. Tutti gli operatori erano in difficoltà e lui ancor più di loro, che in quell'infausto periodo si era mantenuto facendo casse acustiche. Affrontava un viaggio al mese per andare con un furgone pieno di diffusori a Perugia, che allora rappresentava per lui il mercato più grosso in quanto lì c'era un suo amico trafficone che lo aiutava. A un certo punto fu bloccato tutto, le ultime due casse che sono rimaste in piedi sino a qualche anno fa le aveva attaccate al muro in via Montevecchio per fare degli ascolti di monitoraggio. Se non che gli telefonò un certo Roberto da Vicenza, un amico di Lorenzo Zen, noto quest'ultimo per essere un guru dell'HiFi. Nel suo negozio di Schio Aloia aveva fatto nel corso anni un certo numero di dimostrazioni dei suoi apparecchi. Gli telefona quindi questo Roberto, lui gli parlò di questi quaranta ordini e del fatto che non aveva una lira, proseguendo a chiamarlo ogni santo giorno per due o tre mesi, lo teneva ogni volta al telefono per tre quarti d'ora. Lo spingeva a chiedere 400.000 lire di acconto, una cifra che il progettista piemontese riteneva fuori senno. La fase finale del marchio Bartolomeo Aloia si può dire che sia scaturita da queste telefonate, stufo di sentirsi dire di chiedere una cifra del genere come acconto.
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Scrisse allora una lettera di nove pagine in cui spiegava la sua filosofia tecnica, la inviò e un bel giorno trovò all'Ufficio Postale un pacchetto di vaglia postali da 400.000 lire. Nella vita talvolta avvengono cose che ci stupiscono, che non credevamo potessero avvenire. Con quei soldi in mano iniziò la produzione dell'amplificatore Audiophile 100 Watt, poi divenuto l'ST-240 e seguito dall'ST-240 I. Pure il preamplificatore a valvole ha una sua storia. Aloia non aveva mai progettato oggetti valvolari e non voleva farli perché riteneva ormai obsoleto questo dispositivo, sinché un suo grande amico, Giorgio Converso, purtroppo scomparso, prese l'assistenza di Reinaudo quando lui l'aveva invece abbandonata. Giorgio gli confessò che si era messo a fare amplificatori a tubi, una scelta che Aloia trovò alquanto balzana, essendo le valvole nel 1974 ampiamente superate. Lui costruì un certo numero di amplificatori finali di potenza a valvole mettendo all'amico la pulce nell'orecchio. Pensa e ripensa anche Aloia iniziò a prendere in mano i tubi termoionici e considerò il Totem Pole, alla fine concepi un finale da 50 Watt con otto valvole che riscosse un notevole successo di vendite, in proporzione alla dimensione microscopica della ditta.
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C'è un certo Carmelo di Siracusa che è partito dalla sua città per andare in Alto Adige e comprare questo finale valvolare. Recentemente ha preso due ST-2001 che Aloia aveva venduto a un appassionato nei primi anni del 2000. Il dottor Danelli, mi racconta Bartolomeo, un chirurgo di Milano, aspettò addirittura tre anni per averlo, per dire che intorno a questi apparecchi si era creata un'aura quasi di mito. Per lo stesso VTPA "The last" citato prima, un apparecchio complicatissimo, ricevette cinquanta ordini, elettronica grossa, complessa e costosa. Adesso non vengono più richiesti, forse perché nel mondo attuale c'è troppa offerta. Anche mantenere quel ritmo di produzione oggi non gli sarebbe più possibile, per mettere insieme un apparecchio lui e il suo collaboratore impiegano oltre un mese. L'odierno e quello degli anni '70-'80 sono mondi che non potrebbero essere più lontani e diversi, anche nell'ambito della produzione artigianale, e sarebbe fuori luogo paragonarli. Attualmente, se Aloia riesce a realizzare dieci apparecchi all'anno è già tanto. Non esiste una sola filosofia circuitale alla quale Aloia sia più devoto, ma ce ne sono diverse a seconda della tipologia di elettronica, è convinto che la qualità del suono ama la semplicità e in quegli apparecchi giapponesi con una moltitudine di transistor questa è a rischio.
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Porta ad esempio proprio lo Jepun, un preamplificatore basato su un FET che non lavora in tensione ma in corrente. Nella sua esperienza Bartolomeo Aloia ha constatato che le elettroniche così concepite suonano meglio di quelle che amplificano in tensione. Il suo secondo principio è quello di evitare ogni forma di controreazione. Poi bisogna tener conto dei recenti studi condotti sull'orecchio, i quali hanno dimostrato che questo ha delle distorsioni intrinseche. Ne consegue che se la nostra elettronica ha una forma di distorsione simile a quella dell'orecchio, il suo suono è ben accetto. Sotto queste condizioni si possono tranquillamente raggiungere tassi dello 0,5% o 1%. Quindi la convinzione che il raggiungimento di basse distorsioni, da cui le sue remore sulle misure strumentali, non serve assolutamente a niente.
Alfredo Di Pietro
Marzo 2025