Quest'ultimo lavoro discografico di Musica Elegentia e Matteo Cicchitti, "Michele Mascitti - Sonate a tre - Opera Prima", pubblicato dall'etichetta Challenge Records, è mosso da uno sprone ben preciso, non una mia congettura visto che vuole dichiaratamente rendere omaggio, tenendo come più probabile genetliaco il 1664, i trecentosessanta anni della nascita del compositore abruzzese. Un primo dato s'impone, squisitamente sensoriale, a rendere immediatamente fruibile questa musica. Non fa differenza se ascoltiamo d'infilata le ventiquattro tracce o ci soffermiamo su quella "monade" che è ciascuna di esse, poiché in ambedue i casi veniamo immediatamente pervasi da una musicalità sopraffina, che non abbisogna di cognizioni supplementari per arrivare direttamente alla nostra sensibilità. Una percezione che incontra il senso leibniziano del termine, in riferimento a ciascuna delle infinite sostanze inestese o centri di forza (o di coscienza) che, come unità autonome, costituiscono l'universo. Autosufficienti in quanto di per sé significative di uno stile affettivo ben riconoscibile, ma perfettamente integrate in un fluire continuo di emozioni diversificate, oscillanti da un'energica e pimpante allegria al malinconico, ma sempre nobile, ripiegamento espressivo.
Ed è proprio questo non aver bisogno di nulla, di sostegni ideologici o stampelle culturali, a rappresentare la formidabile risorsa di una musica che ci conquista e oggi rinnova la stima di cui già ai tempi Mascitti fu circondato. Il compositore barocco era molto considerato nell'entourage musicale, non a torto ritenuto un autorevole sostenitore della musica strumentale italiana in quel di Francia nel XVIII secolo. Intenzione quindi della presente registrazione è non solo celebrare i trecentosessanta anni della sua nascita, ma offrire una prima mondiale delle sue Triosonate Op. 1, dedicate al Duca d'Orléans e pubblicate a Parigi nel 1704, ponendo l'accento sul non indifferente nesso tra queste e la tradizione della sonata corelliana. Una sorta di giunto cardanico tra lo spirito italiano e il più prelibato gusto francese. Ogni fibra di questo lavoro porta alla luce lo sforzo compiuto da Michele Mascitti di embricare le due istanze in un "unicum" stilistico talmente ben riuscito da non lasciare aperta la porta a disarmonie del flusso musicale. Sarebbe ingiusto a questo punto non citare la rimarchevole opera di approfondimento, tecnica e stilistica, compiuta dall'Ensemble Musica Elegentia e Matteo Cicchitti.
Tra compositore e ascoltatore è proprio l'interprete a fare da interfaccia, come elemento insostituibile e fondamentale nel riportare il più autentico spirito artistico dell'autore. Molti sono i particolari della biografia di Michele Mascitti significativi della sua forte affezione per lo spirito francese. Nacque a Villa Santa Maria, nel chietino (non a caso luogo prescelto della registrazione), non si sa con certezza se nel 1663 o 1664. Si trasferì a Napoli, dove iniziò a studiare il violino con suo zio Pietro Marchitelli, uno strumentista ingaggiato dalla cappella reale e operante presso la chiesa di San Bartolomeo. Fu lì che suo zio riuscì a fargli avere un posto come violinista sotto la direzione di Francesco Provenzale e anche un ruolo di "soprannumerario" (vale a dire in sovrappiù rispetto al numero stabilito dell'organico) nella cappella reale. Non esistono prove documentali che Mascitti avesse studiato con Arcangelo Corelli, anche se è molto probabile che i due s'incontrarono a Napoli, nel 1702, durante un viaggio compiuto dal compositore di Fusignano. Di sicuro esiste (e questo traspare dalla musica) una particolare ammirazione del compositore abruzzese nei confronti di Corelli, musicista dalla scrittura equilibrata, creatore di fastose armonie e melodie, di ricche e articolate trame sonore.
Sono caratteristiche che anche Mascitti possedeva e che fu sollecitato a sviluppare in un gioco di affinità elettive. Il suo stile appare oggi di una maestosa teatralità, impreziosito da polifonie nitide, dall'impronta melodiosa. Fu viaggiatore instancabile, volle superare i confini italiani per ambire a mete diverse, in particolare nell'amata Francia. Questo fu il motivo per cui, dopo aver attraversato l'Italia, Germania e Paesi Bassi, giunse a Parigi, nel 1704, ed essendone profondamente attratto lì si stabilì definitivamente. Già nell'agosto di quell'anno gli fu concessa una licenza di stampa di otto anni, grazie alla quale pubblicò ben presto la sua prima raccolta di musica strumentale, le Sonate a violino solo e a due violini Op. 1. Questa collezione ebbe un tale successo da spingere il Mercure de France, nota casa editrice francese, a dichiarare che la prima tiratura di quest'opera andò praticamente esaurita a causa del grande volume di vendite. Diverse altre opere di musica strumentale seguirono tra il 1706 e il 1738: le Sonate da camera per violino solo Op. 2 (1706), le Sonate per violino solo e per due violini Op. 3 (1707), le Sonate per violino solo e per due violini e basso Op. 4 (1711), le Sonate per violino solo e basso Op. 5 (1714), le Sonate per violino solo e basso Op. 6 (1722), le Sonate per violino e basso e quattro concerti a sei Op. 7 (1727), le Sonate per violino solo e basso Op. 8 (1731), le Sonate per violino solo e basso Op. 9 (1738).
S'ipotizza che con la citata Op. 5, non a caso dedicata al cardinale Pietro Ottoboni, Mascitti volesse esercitare una sorta di "captatio benevolentiae" sul prelato veneziano, allo scopo di aggiudicarsi il posto rimasto libero dopo la scomparsa di Corelli. Oltre all'indubbia bellezza delle sue composizioni, la sua importanza nella storia della musica sta anche nel fatto che fu lui a introdurre il concerto grosso in Francia. Il riferimento sono i quattro concerti dell'Op. 7 (1727) che furono infatti i primi a essere stati pubblicati in Francia. Intorno al 1720 strinse amicizia con i Crozat, un'importante famiglia di finanzieri e mecenati, e per un certo periodo soggiornò a casa di Pierre Crozat, prendendo parte come violinista e compositore ai concerti da lui organizzati. Mascitti ottenne la cittadinanza francese nel 1739, ritirandosi da ogni attività musicale negli ultimi vent'anni, e morì a Parigi, nella residenza Crozat, il 19 aprile 1760. In queste Triosonate, le seconde sei dell'Op. 1 (VII - XII), si fa riferimento al termine "Sonata" come composizione dall'accezione piuttosto ampia, tuttavia affrancatasi progressivamente nel tempo dalla sua indefinitezza per assumere i contorni di una tipologia strumentale dalla precisa fisionomia, anche se diversificata in almeno quattro forme.
Riguardo alle sue due principali distinzioni, fatte in base alla strumentazione, "a due" e "a tre" (il caso di queste Triosonate), se il primo tipo comprendeva l'utilizzo di un solo strumento accompagnato da un basso continuo, il secondo invece prevedeva due solisti con l'aggiunta del basso. Anche su questo devono essere fatti degli opportuni distinguo, in quanto poteva essere realizzato dal solo strumento a tastiera, un clavicembalo o un organo, ma anche in associazione con altri, come per esempio il violino. A complicare le cose c'era un'ulteriore distinzione, data dal fatto che la Sonata "a due" e "a tre" era suddivisa in altre due categorie, differenti come scopo e struttura: la sonata da camera e la sonata da chiesa. Anche qui Mascitti operò una mirabile quanto geniale sintesi tra la prima, contraddistinta da una serie di danze, e la seconda, connotata invece dalla tipica severità espressiva che bisognava rispettare nei luoghi consacrati durante le funzioni religiose. Le esaustive note di copertina, stilate da Francesco Rocco Rossi, danno da sole una cifra della serietà con cui questo progetto discografico è affrontato, rivelandosi un piccolo trattato di musicologia che non cede alle facili lusinghe di un'esposizione generica quanto elogiativa.
Viene indicata, per esempio, la sequenza di movimenti in cui la Sonata barocca si sviluppa, che sono: 1) Introduzione lenta - 2) Movimento in stile fugato - 3) Lento - 4 Finale. A Mascitti riconosciamo il merito di aver architettato una raffinata struttura sonora entro la quale far scorrere con naturalezza delle linee melodico/armoniche che aggettano un ponte tra il suo peculiare sentire di artista e quello spirito francese che tanto era congeniale alla sua personalità. Nella scrittura faceva ampio uso delle "notes inégales", pratica musicale per'altro tipica del Barocco ma che, per inciso, sconfina concettualmente e dà impulso pure alla musica jazz. La macchina attoriale preposta alla declamazione di queste Triosonate Op. 1 vede all'opera Paola Nervi (primo violino), Marco Pesce (secondo violino), Antonio Coloccia (violoncello), Luca Pollastri (organo, clavicembalo) e Matteo Cicchitti (bassetto di viola, violone e direzione). Non a caso ho usato il termine "attoriale", poiché questo definisce l'elevato grado di teatralità contenuto in questa musica, gli strumentisti come attori non è un'idea peregrina ma utile per inquadrare un ruolo che esprime i sentimenti con immediatezza gestuale, in un vivace affresco mai mediato da complicate interpolazioni cerebrali o levantine elucubrazioni.
A costo di risultare ripetitivo ritorno dunque all'assunto iniziale della sensorialità, intesa come facoltà di ricevere impressioni da stimoli esterni. Senza quest'elemento non potremmo spiegarci l'ascendente che questi deliziosi brani hanno su di noi, conseguito anche grazie alla particolare timbrica degli strumenti, ben catturata dalla registrazione di Maurizio Paciarello. Non si tratta di effetti meramente decorativi ma intrinseci alla natura degli strumenti, perciò mai fine a se stessi quanto rafforzativi del frangente emozionale che caratterizza volta per volta i pezzi. Ancora, l'elemento predominante contrappuntistico è la fusione dello stile italiano con quello francese, una sintesi che anche dal punto di vista "caratteriale" del risultato musicale potremmo definire particolarmente felice: grande vivacità, fantasia e la ieratica severità dello stile puntato. Una combinazione che si estende, se vogliamo, a entrambe le tipologie della sonata da camera e della sonata da chiesa. Il disco esordisce con la solare allegria del breve Vivace, movimento iniziale della Triosonata VII in re maggiore, scintillante di energia e ritmicamente impetuoso. L'Allegro che segue vede il tessuto ritmico impregnato di melodie, sinuoso ed elegante nel fitto dialogo strumentale.
Occorre molto affiatamento per ottenere una tale sicura scorrevolezza, fattore che all'Ensemble Musica Elegentia certamente non manca. Nel Grave si assiste al "reverse" espressivo, nell'alternanza di movimenti radiosi con altri meditativi. Il violone 16 piedi di Matteo Cicchitti, da lui suonato in questa registrazione assieme al bassetto di viola, passa da una sprizzante vitalità al passo lento e solenne dei tempi lenti, mostrando un'egregia versatilità espressiva. L'Allegro finale segna il ritorno al buon umore iniziale, disinvolto nella sua grande mobilità. Un avvicendarsi di colori e sfumature che potremmo pittoricamente descrivere in arazzi e variopinti mosaici. Ogni Triosonata segue una regia affine nell'alternarsi delle congiunture emozionali, pur senza mai cadere in una meccanica ripetitività. Nella Triosonata VIII in la minore, il movimento iniziale Un poco Andante è ben diverso dal Vivace della N. 7, caratterizzato da un incedere doloroso e cadenzato. È proprio questa scansione a passi lenti che dà il sentore dell'ineluttabilità (del destino?). La mente va all'Allegretto della Sinfonia N. 7 di L.v. Beethoven, a quella pulsazione metrica dattilo/spondaica che ci restituisce un sentimento molto simile a quello del movimento mascittiano, nel quale la stoica linea melodica s'interseca meravigliosamente con il sotterraneo palpitare del basso.
È una Sonata la VIII contraddistinta da un carattere triste e assorto. Tra le perle di cui questa "World Premiere Recordings" è disseminata, oltre alle citate sono rimasto particolarmente colpito dall'indole serenamente evocativa dell'Adagio iniziale della N. 9, la nitidissima intelaiatura dell'"Allegro è spicco" della N. 10, la concitazione dell'Allegro che segue, poi stemperata nel pensieroso Largo. La stupenda Allemanda Spiritoso della N. 11 in re maggiore, che deriva dalla popolare danza di coppia rinascimentale e barocca di origine tedesca o, ancora, l'intera Triosonata XII, che conclude in scioltezza il ciclo, in forma di Suite, con i suoi movimenti di Spiritoso, Allemanda Allegro, Sarabanda e Allegro. Ho trovato toccante quest'ultimo cimento di Musica Elegentia, non una sorpresa perché in questi ultimi anni ho seguito con attenzione i suoi sviluppi discografici. Parliamo di un insieme strumentale a geometria variabile che come pochissimi altri ha riportato in luce gli splendori della "Affektenlehre", quella teoria degli affetti che fu ampiamente accettata e incentivata in età barocca. Ognuno dei ventiquattro movimenti contenuti nel CD "Michele Mascitti - Sonate a tre - Opera Prima" è emblematico di quell'unico "affetto" che doveva essere riposto in ciascun tempo.
La brevità aforismatica in cui la sostanza musicale viene razionalizzata fuga il rischio della rappresentazione meccanica, se vogliamo innaturale dei sentimenti. Michele Mascitti qui emerge come compositore di eccelsa levatura, pieno di fantasia, e non un mero produttore di bambole meccaniche. Pensiamo alle prime creazioni dei robot automi di Pierre Jaquet-Droz (Jaquet Droz), nel 1721. Non c'è traccia di automatismi nelle pieghe di questi brani, ma un sottile e continuo variare di prospettiva che li rende mobilissimi, non congelabili in un'istantanea. Delle note collaterali ci aiutano a individuare con precisione i "topoi" di questa registrazione. La sede innanzitutto, che è stata la Chiesa di San Francesco Caracciolo, in Villa Santa Maria (Ch), il riferimento temporale: agosto 2023, l'ingegnere del suono: il bravissimo Maurizio Paciariello e le sempre esaustive note di copertina, a cura di Francesco Rocco Rossi, docente presso il Pontificio Istituto Ambrosiano di Musica Sacra di Milano.
Alfredo Di Pietro
Novembre 2024