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martedì 3 dicembre 2024 ..:: Recital Francesco Libetta 23-10-2024 ::..   Login
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 Recital Francesco Libetta 23/10/2024. Conservatorio di Milano - Sala Verdi. Riduci

PROGRAMMA


Johann Sebastian Bach (1685 - 1750)
- Preludio e Fuga in mi minore BWV 855 dal Clavicembalo Ben Temperato Vol. 1

Fryderyk Chopin (1810 - 1849)
- Studio in mi minore Op. 25 N. 5
- Notturno in mi bemolle maggiore Op. 9 N. 2
- Studio in do minore Op. 10 N. 12

Philip Glass (1937)
- Étude N. 9

Ezio Bosso (1971- 2020)
- Before Six

Robert Schumann (1810 - 1856)
- Dagli Studi Sinfonici Op. 13: Variazioni postume III-IV-V

Domenico Scarlatti (1685 - 1757)
- Sonata in si bemolle maggiore K 248
- Sonata in la maggiore K 208
- Sonata in re minore K 141

Maurice Ravel (1875 - 1937)
- Da Miroirs: Oiseaux tristes

Christoph Willibald Gluck (1714 - 1787)
- Melodia da Orfeo ed Euridice (trascrizione di Giovanni Sgambati)

Ezio Bosso (1971 - 2020)
- Following a bird (Unconditioned. Out of the room)

Johann Sebastian Bach (1685 - 1750)
- Sinfonia N. 7 in mi minore BWV 793
- Sinfonia N. 11 in sol minore BWV 797

Ezio Bosso (1971 - 2020)
- Dalla Sinfonia Oceans (trascrizione di Francesco Libetta)
- IV Movimento. Antarctic
- Finale. "Landfall. We unfold"

Bis
- Ezio Bosso: Emily’s Room
- Fryderyk Chopin: Valzer Op. 34 N. 2 in la minore

 



Ogni concerto di Francesco Libetta è un evento atteso, che non si rivela mai scontato e diverso in ognuna occasione. In tutti questi anni si è affermato come personalità poliedrica, attivo anche nel campo della composizione e direzione d'orchestra, attore apparso nel 2005 in una breve parte nel film "Musikanten" di Franco Battiato, con cui ha collaborato anche nel 2009, in occasione della produzione della sua opera musicale "L'Assedio di Ottocento", scritta proprio con la supervisione di Franco Battiato. Scrittore anche, con il libro "Musicista in pochi decenni" (2018) e, recentemente, con un libro di dialoghi in collaborazione con Gianni Tangucci sulla vita del teatro musicale. Grande appassionato di ballo, nel 2019 fonda con Stefania Ballone, Christian Fagetti e altri ballerini il gruppo di Coreofonie, spettacolo di musica e danza. Nel 2018 collabora con il rapper Mad Dopa nel brano "Lo Sa Solo Dio". Molto altro ancora ha fatto Libetta, ma in queste mie poche righe, di certo non esaustive delle sue caleidoscopiche attività, si profila un artista a 360°, insofferente a limiti e restrizioni di sorta. Se è vero che il suo repertorio è prevalentemente classico, è altrettanto evidente che gli sconfinamenti in altri generi non sono per lui sporadici né aleatori.

 



Caratteristica del grande artista è quella di fugare il rischio dello speculare, del simmetrico, vale a dire quell'elemento di ripetitività espressiva che fa sembrare le esibizioni tutte uguali fra loro. Non si può nemmeno pensare che in ogni interpretazione non venga riflessa la sua pregressa mole di esperienze, non per caso da me succintamente citata. Manca tuttavia un'importante menzione, la faccio ora ricordando che l'anno scorso la Sony Music ha pubblicato una sua registrazione dedicata alla musica pianistica di Ezio Bosso, includente la trascrizione che lui stesso ha stilato della grandiosa Sinfonia "Oceans". Mi sono spesso interrogato sul rapporto che intercorre tra lo strumentista sul palco e chi siede in galleria, balcone o platea. Ascoltare in compagnia di altre persone può amplificare le emozioni del singolo o anche disturbarlo, con colpi di tosse, movimenti o qualche immancabile suoneria di smartphone (c'è stato chi ha interrotto un concerto per questo). Una cosa è certa, si può essere in una grande sala come la Verdi del Conservatorio di Milano ma ci si sente inesorabilmente soli nel momento in cui il pianista poggia il dito sul primo tasto.

 



Assistiamo all'emissione nell'etere di frammenti sonori, repentini o graduali che siano, si prospettano immagini diluite o addensate, anche il modo fisico che ha l'interprete di porsi al pubblico, tutto fa gioco affinché tra l'artista sul palco e chi ascolta si crei una stretta intimità. E non si tratta di una posizione arrogante da parte di chi è seduto a sentire, nessuna simmetria o erismo si pretende tra artista e uditore, con una distanza reciproca può essere grande, talvolta abissale. Ma non si può evitare, volenti o nolenti, l'instaurarsi di un affettivo dialogo a due, tra la sensibilità di chi porge e quella di chi riceve. E nessuno può far nulla perché questo non accada. Brahms affermava che per chi affida al pianoforte dei monologhi interiori "anche un solo ascoltatore è di troppo". Libetta allora stabilisce sin dal primo brano suonato, il Preludio e Fuga in mi minore BWV 855 dal Clavicembalo ben temperato di J.S. Bach, quell'atmosfera che avvolgerà tutti i presenti, quell'ininterrotto flusso emozionale, quella sorta di corrente elettrica ad amperaggio variabile che ha percorso tutti noi. Si palesa allora un'intima scenografia sonora, una temperie espressiva in quel momento a lui congeniale, immutabile perché radicata nell'indole personale e insieme mobilissima.

 



È questa che stasera ha fatto da fondale a ogni brano, ci ha seguiti costantemente ma non è stata d'ostacolo all'estrinsecazione dell'impronta precipua di ciascuno degli autori ascoltati: J.S. Bach, F. Chopin, P. Glass, E. Bosso, R. Schumann, D. Scarlatti, M. Ravel, C.W. Gluck. Autori che hanno stili diversissimi,  ma che Francesco Libetta ha avvicendato in maniera naturale, senza la minima forzatura, embricando un brano con l'altro in un discorso musicale di grande omogeneità. Immaginiamo un dialogo tra due vecchi amici, ricordi e pensieri si rincorrono ora più rapidi ora più ieratici, al passo che suggerisce il sentimento nei vari frangenti. Non soggioga mai Libetta, nemmeno nei momenti più concitati o di maggior forza sonora (e ce ne sono stati), anche quando il Fazioli sembra soccombere alla terribile pressione digitale esercitata sulla meccanica, come nel Finale. "Landfall. We unfold" dalla Sinfonia Oceans, trascritta per il pianoforte dallo stesso Libetta. L'operazione che il musicista pugliese ha compiuto sulla musica del compianto Ezio Bosso ha dello straordinario. Un autore che solca ancora la modernità, il quotidiano, assurge grazie alle mani, il cuore e la mente di Francesco Libetta alla dignità di classico.

 



E il classico, come disse Carmelo Bene: "è quello che si dà una volta per tutte, è eterno, non conosce attualismi o contemporaneità, non è un Best Seller, non sollecita rincorse agli acquisti, alle strenne." Il recital inizia quindi con un Bach soffuso, di grande morbidità, talmente accogliente da sembrare quasi compassato. Il pianista non a caso è stato definito dal New York Times un "Aristocratico poeta della tastiera con il profilo e il portamento di un principe rinascimentale (M. Gurewitsch)" e definizione più felice di lui non poteva essere data. Un Bach che ripropone anche nella Sinfonia N. 7 in mi minore BWV 793 e nella Sinfonia N. 11 in sol minore BWV 797, lontano da isterismi da tastiera, pensoso, modellato con suprema sensibilità e rispetto in un qualcosa di molto lontano dalle "piccole esplosioni" che H.v. Karajan diceva dovessero essere adottate suonandolo. Dopo J.S. Bach c'è Chopin, con due studi inframmezzati da un Notturno. L'insieme non soffre d'improvvisi scarti o scalini, pur nella diversità di accenti, non c'è in Libetta la volontà di essere ligio a una lettura formale, per quanto raffinata ed elegante possa essere. Lascia percolare la partitura nel profondo e la fa riemergere con rinnovate sembianze, dopo essere passata dal vaglio della sua sensibilità.

 



Passa agevolmente dal carattere meditativo e lirico del Notturno Op. 9 N. 2 alla drammaticità dello Studio in do minore Op. 10 N. 12 "Rivoluzionario", eseguito con impeto, quasi una scossa elettrica dopo l'andamento sognante del Notturno. Il biografo Karasowski disse che il "Rivoluzionario" nacque di getto, come segno di drammatica ribellione dopo che Chopin seppe della presa di Varsavia da parte delle truppe zariste. Scuote gli animi e le coscienze in un soprassalto di vigoria, tanto attuale purtroppo, viste le guerre in atto nel mondo. Dal romanticismo si passa con irrisoria agevolezza al minimalismo di Philip Glass con l'Étude N. 9. La poetica di Philip Glass ed Ezio Bosso è differente ma non distante anni luce, parla di modernità, un nuovo che idealmente ben si concilia con quanto precede e segue. Francesco Libetta non si fa sfuggire l'occasione di umanizzare e rendere "poesia dotta" anche un tipo di musica nata dall'esigenza di rendere più accessibile quella dell'avanguardia astratta dei primi anni sessanta, dai compositori minimalisti considerata "impossibile da ascoltare". Fa spesso precedere al brano delle piccole improvvisazioni, poche note e accordi modulanti, quasi a prendere contatto con la tastiera, pesare con accuratezza la forza delle dita prima dell'esecuzione vera e propria.

 



Screziato e totalmente privo di qualsiasi meccanicità il "suo" Domenico Scarlatti, cosa a questo punto intuibile. Non è un estro il suo che conduce a una qualsivoglia bizzarria, ma sempre ponderato e intrinseco alla materia sonora, appare dotato della preziosa virtù della discrezione, in lui adornata dall'amabilità, dote che l'avvantaggia nella Sonata K 208. Forte di un'eccezionale duttilità, abilità coloristica (pressoché infinita la sua "palette"), riesce a trasformare le sonorità del pianoforte in quelle di un clavicembalo, addomestica a suo piacimento uno strumento che Paolo Fazioli voleva fermamente fosse "luminoso, solare, espressivo, ricco di colori e potente". Libetta se ne frega e fa quello che vuole, realizza ciò che gli detta la sua suprema sensibilità d'artista. Nella Sonata in re minore K 141 la musica, letteralmente, cambia. Fulminee le sei semicrome ribattute, sciorinate in maniera cristallina; ma questa non è l'unica difficoltà di quest'impervio pezzo, ci sono anche molti idiomi caratteristici di Scarlatti, come l'incrocio delle mani. Cose che farebbero perdere la bussola al più consumato dei concertisti. Nelle Variazioni postume III-IV-V dell'Op. 13 di Schumann, Francesco Libetta appare particolarmente sorvegliato, come lo è stato d'altronde durante tutta la sua esibizione, in nome di quell'ideale fascia espressiva che ha voluto dominante.

 



Per comprenderne le ragioni dobbiamo riandare con la memoria al grande Carmelo Bene, al suo concentrare il timbro in una certa area, stabilendo una "fascia" che gli consentiva di modulare l'espressione con maggior precisione. La fascia del pianista salentino in quest'occasione si è mantenuta fedele alla scorrevolezza quanto alla sobrietà: è su questo cardine che i brani più "energetici" e virtuosistici hanno potuto svettare. Libetta si è allora rivelato accorto regista di una coreografia ben calibrata. La Melodia da Orfeo ed Euridice di C.W. Gluck, nella trascrizione di  G. Sgambati, è una vera perla di bellezza, un incanto senza tempo che pare emozionare particolarmente lo stesso pianista, e noi con lui. Approssimandosi il termine di questo percorso dell'anima che è stato il recital di ieri sera, si ritorna alla musica di Ezio Bosso. L'importante operazione culturale intrapresa dal maestro di Galatone sul compositore torinese è esitata nel progetto discografico "Lighting Bosso", un doppio CD (e vinile) che raccoglie in un'antologia dei brani più noti per pianoforte solo, oltre alla trascrizione della Sinfonia N. 1 Oceans, per inciso una delle opere che di lui mi piacciono di più. Si rimane attoniti nel percepire l'immensità dell'oceano nel Finale. "Landfall. We unfold", il quale contiene l'espressione di una natura dalla potenza insuperabile, ora amica ora nemica, travolgente sempre con la sua ineluttabilità.

 



Libetta ne coglie la drammatica portata, olografa la figura di un uomo inerme che nulla può contro essa. Affiorano momenti di disarmato ripiegamento in cui la musica si fa rarefatta. Ma le ultime misure sono un'esplosione dove davvero il Fazioli diventa "luminoso, espressivo, ricco di colori e potente". La forza e la pressione sonora sono incontenibili e il nostro pianista dà fondo a tutte le sue forze, al suo inattaccabile carisma di artista. Non sono in grado di dire se questo brano sia più difficile che faticoso, non sono un addetto ai lavori, ma la fatica, quella si, era chiaramente leggibile sul volto di Francesco di Libetta al termine dell'esecuzione. Concessi al pubblico due "encore" prima che lui abbandonasse il palcoscenico. Il libretto di sala chiede "che suono ha la felicità? Non so se la felicità esista realmente, su questo cruciale dilemma mi mantengo tra lo scettico e il pessimistico, ma una cosa è certa: la musica ascoltata ne ha regalato a tutti noi il sentore, la suggestione di aver conosciuto il migliore dei mondi impossibili.


Alfredo Di Pietro

Novembre 2024


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