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martedì 22 ottobre 2024 ..:: Intervista a Roberta Pedrotti ::..   Login
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 Intervista a Roberta Pedrotti Riduci


 

 

Alfredo Di Pietro: Nel ringraziarla per l'intervista concessami, come prima domanda vorrei chiederle quando, dove e come è nata la sua passione per la musica e per l'Opera.

Roberta Pedrotti: Non sono cresciuta in un ambiente melomane, ma in una casa piena di libri, in un ambiente aperto, con l'idea che la conoscenza e la curiosità siano la chiave per la libertà. Fin da piccolissima (fra Elio, De André e le sigle dei cartoni animati) sono stata attratta dalla musica cosiddetta “classica” e per Santa Lucia non mancava mai un disco con Mozart, Beethoven e Vivaldi. Poi, quando avevo fra i dodici e i tredici anni, andò in onda L'amore è un dardo, il programma televisivo sull'opera che lanciò Alessandro Baricco. Di seguito venne replicato Figaro qua! Figaro là!, un ciclo dedicato a Rossini con interventi di Bruno Cagli, Alberto Zedda e Philip Gossett: nell'interesse nascente fu il colpo di grazia e ascoltare Rockwell Blake cantare “Cessa di più resistere” dal Barbiere di Siviglia mi consegnò definitivamente a questa passione. Quando a quattordici anni mi fu chiesto se volessi il motorino risposi che preferivo si investisse la stessa cifra in biglietti per l'opera: alla fine non ho nemmeno preso la patente, ma infiniti, preziosi ricordi teatrali.


ADP: Elisabeth Schwarzkopf, alla domanda di che cosa avvertisse l'assenza nei critici, rispose: " Del rispetto per l'artista". Si riferiva a quanti pretendevano di recensire un concerto di Lieder senza avere idea della preparazione intellettuale, musicale e vocale che c'è dietro un'esibizione del genere. "Nessun critico privo di formazione vocale" aggiungeva "dovrebbe permettersi di esprimere giudizi su un o una cantante." Non trova che sia un po' velleitaria l'opera di critici che non posseggono una preparazione specifica?

RB: Dipende da cosa si intende per preparazione specifica. Il rispetto è fondamentale nei confronti di tutti: dell'artista interprete e dell'artista autore, del pubblico, dei lettori, di sé. Per adempiere a questo dovere prima di tutto di coscienza dobbiamo sempre agire con onestà intellettuale, lealtà, buona fede. E, quindi, studiare sempre, riflettere sui propri limiti, pensare sempre alle parole del Figaro di Mozart e Da Ponte. “Io non impugno mai quel che non so”. Non è facile, ma è fondamentale, un percorso continuo di crescita e discussione. Attenzione, però: la competenza critica non è esattamente sovrapponibile a quella di un cantante, di un direttore, di uno strumentista o di un regista. Il linguaggio è comune e comprende dei saperi tecnici e teorici che dovrebbero essere noti a tutti, ma con finalità diverse: io mi confronto con il risultato, non devo produrlo a mia volta. Facciamo mestieri differenti e credo siano necessarie prospettive differenti. Io aspiro a riconoscermi nell'ideale che delinea Vitruvio per l'architetto, che non deve eccellere nelle singole discipline come uno specialista, ma nemmeno esserne ignaro. Le battute sui critici come artisti falliti e quindi frustrati, su chi non sa fare e quindi critica lasciano il tempo che trovano, perché la nostra è una professione molto esigente in responsabilità e studio. Per me la critica è un atto d'amore verso l'arte e non mi interessa essere al posto di chi sale sul palco o in buca, mi interessa acquisire gli strumenti per capire ciò che fa, per analizzarlo e interpretarlo.

 
ADP: Questa terza domanda è in qualche modo collegata alla precedente. Oggi nei cosiddetti Social chiunque si arroga il diritto di poter giudicare un artista, dimenticando che la critica musicale consiste nello studio, valutazione e interpretazione della musica. In buona sostanza il critico musicale è un giornalista che esercita un metodo critico, frutto di studi musicologici, analisi e interpretazioni approfondite su un disco, un artista o un evento. Qual è il suo personale modo di concepire la critica?

RP: Mi collego a quanto già detto e cerco di completare il discorso in questa direzione. La critica per me è dialettica, non una pagella. Non mi importa di dare voti o stabilire delle verità: mi importa di riflettere su quello che un artista ha da dire e se anche non sarò d'accordo con le sue scelte, spero comunque di trovarle coerenti, fondate, stimolanti. Tutti noi siamo esseri umani, fallibili: l'autore, l'interprete, il critico, il pubblico. L'importante è riconoscerlo e confrontarsi con onestà, rispetto, cercando di esporre argomentazioni oggettive senza dimenticarci che ogni nostra percezione è sottoposta a un filtro soggettivo, che possiamo comprendere ma non eliminare del tutto. Lo ripeto, dobbiamo studiare, studiare, studiare, aprirci, metterci in discussione: più si sale nell'approfondimento e nella conoscenza più si vede l'orizzonte vasto di quel che ancora dobbiamo scoprire, ci allontaniamo dalla base e guardiamo giù pensando a quello che vorremmo rispolverare alla luce delle nuove competenze... Invece, se rimaniamo a terra nel nostro orticello confortevole ci sembra che il nostro sguardo possa già abbracciare agevolmente tutto il nostro recinto. Ecco, il critico vero è quello che sale e salendo si trova anche a dubitare, chi resta a terra avrà più certezze, ma non sarà, per me, un vero critico, solo un proclamatore di assoluti “da bar” concreto o virtuale.


ADP: Lei è una grande esperta del genere operistico, nel suo libro "Storia dell'Opera Lirica" dimostra a riguardo una cultura enciclopedica. Guida il lettore alla scoperta del mondo non solo del melodramma, della sua storia e dei suoi protagonisti, ma anche dei suoi codici, dei suoi segreti e delle sue tradizioni. A suo parere cosa ancora ha da dire l'Opera? Adotta un linguaggio che può carpire l'interesse dei giovani?

RP: Intanto grazie! L'opera è un genere straordinariamente attuale. Quando mi capita di parlare con i ragazzi ricordo loro che abbiamo oltre quattro secoli di repertorio alle spalle e che ancora si scrivono nuovi titoli, ricordo che ogni opera si rinnova sempre nell'interpretazione di diversi artisti in momenti e per pubblici diversi. Quindi abbiamo infiniti mondi in cui specchiarci a diversi livelli, ciascuno secondo la propria sensibilità. L'importante è non aver paura che non possa essere compresa: quando mi trovo a parlare con dei ragazzi cerco per prima cosa di comunicare la mia passione, il fatto che nella mia vita l'opera sia importante, magari mostro spezzoni di spettacoli che ho visto dal vivo per condirli con qualche aneddoto di prima mano. E dico loro che non è obbligatorio che piaccia qualcosa, ma che val sempre la pena di scoprire, di sperimentare, curiosare, confrontare diverse letture per vedere se ce n'è una che parla alla nostra sensibilità. Se si va al nocciolo della questione, ai rapporti umani, all'educazione sentimentale, alle passioni e ai temi sociali presenti nell'opera, sono tutti elementi che toccano le corde anche dei ragazzi di oggi e la musica è un veicolo espressivo imbattibile! Non è necessario forzare, alterare nulla. Come dicevano Gianni Rodari e i grandi della letteratura per ragazzi, non bisogna sottovalutare i nostri interlocutori e nemmeno presumere di sapere cosa ameranno. Io spesso mostro video di scene famosissime in allestimenti estremamente classici e in altri astratti o iper moderni, poi lascio aperto il dibattito: ci sono ragazzi che si innamorano delle atmosfere d'epoca e altri che si lasciano coinvolgere da ambientazioni vicine al loro quotidiano. Io spiego che ogni opinione può essere legittima e il bello può essere proprio scoprire letture diverse e trovare quella che si preferisce, senza pregiudizi. L'opera apre la mente e stimola la conoscenza e lo spirito critico.


ADP: Un altro suo bellissimo libro è "Se fossi Luciano Pavarotti", uno dei tenori più grandi della storia, emblema stesso per intere generazioni dell'idea di cantante d'opera. A distanza di sedici anni dalla sua scomparsa crede che sia stato pienamente compreso da pubblico e critica oppure c'è ancora qualche zona d'ombra da rischiarare?

RP: Io stessa scrivendo questo libro ho scoperto e riscoperto molte cose su Pavarotti. Quando si diventa così famosi, “iconici” per usare una parola di moda, spesso si viene dati per scontati. Ecco, Pavarotti non era scontato per nulla e invece siamo abituati a credere di conoscerlo. I suoi ultimi anni, poi, sono un ricordo fresco che rischia di offuscare la grande carriera che li ha preceduti.


ADP: Citazione per citazione, l'attore/musicista Martin Mull disse che scrivere di musica equivale a ballare di architettura. Le dico subito che non sono per nulla d'accordo con quest'affermazione, avendo spesso tratto giovamento da diversi articoli di critica che mi hanno consentito un godimento più consapevole della musica, parlo di addentellati storici, di analisi musicale o anche semplici aneddoti. Secondo lei qual è la vera funzione della critica musicale, non potendo ovviamente sostituirsi alla musica stessa?

RP: La critica in generale, non solo quella musicale, è spesso sottovalutata, oggetto di uno sterminato repertorio di frecciate e aforismi. Possono essere validi se si parla di cattivi critici, che esistono come esistono i cattivi medici, avvocati, cuochi, scrittori, musicisti... Però l'esercizio critico è fondamentale, lo spirito critico deve essere coltivato da tutti, non solo da chi ne fa una professione. E uno sguardo sulla storia dell'analisi e della ricezione delle arti penso sia un indispensabile complemento alla conoscenza delle opere stesse: si leggeva e come si leggeva Dante nei secoli? E come si guardavano i dipinti di Raffaello? E come si eseguiva e si ascoltava Bach? Come li si considerava? Come sono stati accolti dai loro contemporanei gli esordi della Callas, di Zeffirelli, di Abbado? Tutte cose che per me è utile sapere per ascoltare, leggere, osservare meglio. E così, sì, si può e si deve scrivere di musica, che è cosa diversa dal suonare, cantare e dirigere, ovvio. Non si può scrivere l'esecuzione di una sinfonia, la si suona e la si dirige, ma si può scrivere di quell'esecuzione, se ne può e se ne si deve parlare. Il linguaggio serve a quello, no? Traduce un oggetto concreto o un pensiero, un ricordo, un gesto, una sensazione, non lo sostituisce. Parliamo e scriviamo di musica, di pittura, di cibo, di architettura, delle nostre esperienze, delle nostre idee.


ADP: Lei ha conseguito la laurea in Discipline dell'Arte, della Musica e dello Spettacolo all'Università di Bologna, è iscritta all’Ordine dei Giornalisti e svolge attività di critico musicale dal 1998. Viene invitata a partecipare a tavole rotonde, collabora con importanti istituzioni come il Teatro alla Scala, il Teatro Comunale di Bologna per presentazioni, conferenze e stesura di programmi di sala, organizza e promuove iniziative dedicate ai giovani artisti. Un'attività intensa che sicuramente la tiene impegnata per molte ore della giornata. Ma nei momenti di relax a cosa ama dedicarsi?

RP: Bella domanda! Relax? Cos'è? Il mio lavoro coincide con la mia passione (e questo non vuol dire che sia sempre uno spasso e che non ci siano incombenze che eviterei volentieri...), per cui quasi tutti i miei viaggi sono legati alla mia attività, ma sono anche un piacere. Difficile scindere. Mi ritengo fortunata, anche se non è esattamente una professione remunerativa. Poi, bisogna anche dire che staccare è pressoché impossibile: non esiste una giornata che passi senza parlar di musica, né un'esperienza che non possa in qualche modo essere collegata all'arte. Ad ogni modo, cerco di prendermi delle pause. Ho la fortuna di vivere sul mare e quindi una passeggiata sulla spiaggia o un giro in bicicletta sono un vero toccasana! E, lo confesso, non mi dispiacciono nemmeno le faccende di casa: sono una disordinata senza speranza, ma mettermi a stirare, per esempio, mi dà soddisfazione e mi costringe a star lontana dal computer. Dai film di Woody Allen ai fumetti di Topolino o al disegno, sono tanti i miei interessi, ma faccio fatica a vederli slegati fra loro e alternativi alla musica. Quando possibile, amo passare il tempo con gli amici, organizzare cene in compagnia o a due con il mio compagno (che è pure un ottimo cuoco). A volte anche starsene nel silenzio sul divano facendo un giochino con il telefono può non esser male!


ADP: Quali sono elementi chiave per stilare una buona recensione? Esiste una regola oppure è opportuno dare libero sfogo alla propria creatività e fantasia?

RP: Penso che siano sempre fondamentali le famose cinque W del giornalismo (Who, What, Where, When, Why, Chi, Cosa, Dove, Quando, Perché). Bisogna fare anche cronaca, dare tutti gli elementi al lettore per orientarsi e capire di cosa si stia parlando, lasciando intendere quali elementi si considerino oggettivi e quale sia il margine di soggettività nelle nostre conclusioni. All'inizio può essere utile farsi le ossa con uno schema, poi, con l'esperienza, lo stile può farsi più personale e libero, ma sempre tenendo presente che siamo qui per informare, analizzare e argomentare.


ADP: Personalmente, amo molto i lieder, meno le opere, anche se ho una sorta di adorazione per la Carmen di Bizet e rimango sempre affascinato quando ascolto Lodoletta di Pietro Mascagni. Quale potrebbe essere l'anello di congiunzione, se esiste, tra il genere liederistico e l'operistico, tale da convincere un appassionato del primo ad amare anche il secondo? Ha qualche suggerimento da dare in merito?

RP: Parto sempre dallo stesso approccio: non sentiamoci mai in obbligo di amare qualcosa, però val sempre la pena di esplorare nuovi orizzonti e di concedere nuove possibilità. Prima di assaggiare il nostro piatto preferito potevamo sapere che ci sarebbe piaciuto? E se l'avessimo assaggiato cucinato male? E non ci è mai capitato che qualcosa che ci piaceva da ragazzini anni dopo ci lasciasse freddi o viceversa? Bene, da questi presupposti, al melomane operista direi: “Ti piace sentir cantare sentimenti, racconti, esprimere contenuti poetici attraverso la musica? Perché non provi a esplorare una dimensione più circoscritta, intima? Magari potresti cominciare con dei Lieder più teatrali o legati anche a soggetti d'opera come l'Erlkonig, Gretchen auf Spinhrade o il ciclo della Winterreise di Schubert, che sono poi stati anche i miei primi amori liederistici.” Parimenti all'appassionato di Lieder direi: “Se ti piace l'unione di poesia e musica, perché non provi a sperimentarlo in un contesto narrativo più ampio, a tinte un po' più forti? Magari in opéra-comique o Singspiele in cui alcuni brani circoscritti rispetto al parlato possono avvicinarsi all'idea del Lied, oppure in qualcosa di completamente diverso, per vedere altri orizzonti del canto.


ADP: Mi consenta un'ultima domanda, a conclusione di quest'intervista. Nel libro "Le donne di Gioachino Rossini - Nate per vincere e regnar", traspare il suo amore per questo grande musicista. È un testo che concentra l'attenzione sui personaggi femminili delle opere rossiniane. In un sottile e completo lavoro di esegesi mette a confronto e analizza diversi temi, attinge dai testi dei libretti prendendo in considerazione vari significativi esempi. Questo libro mi dà il destro per chiederle perché ama così tanto Rossini, del quale lei si dimostra profonda conoscitrice.

RP: Grazie ancora. Le racconto un aneddoto recente: lo scorso luglio ero a Montepulciano, per il Cantiere internazionale d'arte. Un bel programma che in pochi giorni mi ha offerto Paganini e la musica contemporanea, Falla, Schubert, Mendelssohn, Rachmaninov... Mi godevo tutto con soddisfazione, poi, passeggiando per il borgo, mi capita di sentire da una finestra un musicista che prova un solo da una sinfonia di Rossini: mi sono fermata ad ascoltare come se fosse un richiamo nel sangue, una sensazione atavica di benessere. Ho sentito che rispetto a tutta la musica che amo, Rossini resta per me speciale. È stato il compositore che ha fatto scoccare in me la scintilla della passione per l'opera. La mia seconda volta a teatro è stata a Pesaro per la Semiramide integrale (quattro ore che, se date come si deve, scivolano via come un bicchiere d'acqua: non fatevi spaventare dai pregiudizi sulle durate!) e con la città marchigiana ho maturato in trent'anni un legame molto profondo: mi sento a casa e quella del Rof per me è come una famiglia, con la quale si può essere in disaccordo ma che si ama sempre. Non si tratta, però, solo di un attaccamento affettivo per il primo imprinting. Rossini è un autore che non si smette mai di approfondire, molto complesso, sfaccettato, sfuggente ed ambiguo. Passa il tempo, conosco, studio e apprezzo molte altre cose, ma a lui torno sempre. Evidentemente è molto affine anche alle mie corde, mi tocca nel profondo sul piano emotivo e su quello intellettuale mi stimola sempre. Lo spessore e la complessità delle sue grandi figure femminili credo sia un perfetto esempio del suo valore.

Alfredo Di Pietro

Settembre 2024


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