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Wednesday, January 08, 2025 ..:: Intervista a Quirino Principe ::..   Login
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Alfredo Di Pietro: Maestro, ringraziandola per l'intervista concessami, come prima domanda le chiederei come nasce il suo amore per la cultura e la musica.

Quirino Principe: Probabilmente è una disposizione innata, che hanno molti. Le persone che mi sono amiche, o di cui io sono amico, non poche, sono tutte nate con la disposizione passionale, in certi casi addirittura incontrollabile, maniacale per la musica. Questa è la più grande seduttrice che credo abbia luogo nel panorama cosmico, anche perché, e qui occorre cercare di motivare la mia sensazione, il cosmo cui ho fatto riferimento poco fa è fatto sostanzialmente di rapporti numerici. Tra le molte pieghe della mia curiosità, la quale risale probabilmente ai tempi del prenatale, do un posto di rilievo all'astronomia e alla cosmologia, quindi alla matematica. Sono profondamente irreligioso, nemico di tutte le religioni che sono comparse sul nostro pianeta e, forse, di qualsiasi altra, dovunque essa si trovi. Ma più che agnostico, del resto è una cosa che si sa in giro e non è da tenersi nascosta, mi dichiaro un fedele ammiratore e collaboratore di ciò che esiste veramente, mentre ho dei forti dubbi sull'esistenza dell'"altro", quello che si venera nei luoghi di culto. Sto parlando di Lucifero e io sono un cultore e aiutante del demonio, il disegno che presumibilmente ha questo, sulla cui esistenza non ho dubbi, mentre ne ho su quella dell'"altro", è perfettamente coerente con la passione per l'esattezza.

Sappiamo bene che spesso chi va a guastare, appellandosi all'esattezza, all'inequivocabilità e alla certezza di qualcosa, i disegni dei predicatori, dei salvatori, dei redentori, di chi promette meraviglie da qualche parte dell'esistente, viene considerato in genere come una specie di personaggio con odore di zolfo. In genere viene ritenuto una sorta di corruttore, di persuasore del peggio, chi fa notare come tutto ciò che è esistente porta il segno della sofferenza, del male. La storia umana, ma anche l'ordine cosmico, lo dimostrano. Chi guarda le fotografie del nuovissimo telescopio spaziale James Webb, che da due anni a questa parte ha spazzato via un po' il prestigio del vecchio e glorioso telescopio Kepler, si rende conto che c'è una terribile carica di male, di odio, di prevaricazione tra le galassie, queste enormi masse cosmiche di secondo, terzo o ennesimo grado. Io sono stato spinto da una specie di amore prenatale a venerare la figura di Lucifero così com'è presentata e raccontata da chi, invece, si è insediato all'interno delle fedi religiose, più o meno in modo ereticale, esoterico o infedele ma comunque partendo sempre dal principio che il creatore sia anche il depositario del bene. Probabilmente non esiste una creazione dal nulla, poiché questo concetto è profondamente contraddittorio.

Jorge Luis Borges alla fine di una sua bellissima poesia intitolata "Ajedrez" (scacchiera), si pone una domanda. I due giocatori di scacchi pensano di essere loro, con il libero arbitrio, a muovere i pezzi sulla scacchiera e non sanno che essi stessi sono pezzi posti su un'altra scacchiera, fatta di bianchi giorni e nere notti. "Dios mueve al jugador, y éste, la pieza. Qué dios detrás de Dios la trama empieza De polvo y tiempo y sueño y agonías? " (Dio muove il giocatore, e questi il pezzo. Che Dio dietro di Dio la trama inizia di tempo e sogno e polvere e agonie?). Una meravigliosa poesia in due tempi e due parti. Ossia, con molta grazia e molta gentilezza, come usava fare Borges, uomo di grandezza incommensurabile, la poesia dice che Dio regge i gesti, gli atti, le nostre volontà, per cui noi crediamo di avere libero arbitrio ma in realtà non lo abbiamo. Prima di terminare la poesia allora si chiede, negli ultimi due versi, chi sia a manovrare Dio, "Qué dios detrás de Dios" ha dato avvio a questa trama? A questo punto si apre una possibilità infinita, il "regressus ad infinitum" di cui parlavano gli scolastici. E allora quale Dio manovra Dio come una pedina? E quale altro Dio manovra questo Dio che manovra Dio come una pedina?

E così all'infinito. Questa è una prospettiva che ho accettato molto presto nella mia esistenza, a metà dell'adolescenza, a undici anni di età, quando ho detto ai miei genitori, madre credente, cattolica, e padre agnostico, miscredente ma alla fine aperto: "Guardate, mi avete fatto fare durante l'occupazione nazista, nel 1943-44, quella cosa che si chiama prima comunione, non fatemi fare la seconda. Adesso la guerra è finita, non c'è più il problema di nascondersi. Badiamo alle cose vere perchè io voglio andare alle scuole medie e saltare tutti gli anni che voglio." Ho scavalcato quattro anni di scuola, a quindici anni mi sono iscritto all'università. "Se per caso insistete a che io vada a confessarmi, in un momento in cui siete distratti, infilo la porta di casa, vado alla stazione centrale, salgo sul treno e non so cosa avverrà." Loro naturalmente cedettero. Che cosa invece mi dava la carica? Molto presto ho compreso che era il "furor matematicus", che fra l'altro mi animava anche l'amore sconfinato per la poesia, per la filosofia, per le bellezze naturali, i primi interessi per la femminilità, che in me sono arrivati quando avevo appena cinque anni. Avevo circa undici anni, quando è arrivata la musica ho capito che le altre strade da me sognate, e che mettevo sullo stesso piano, erano tre professioni.

La prima era il matematico, la seconda l'ufficiale di marina militare, io poi non so nuotare e quindi era anche un fatto estetico, e la terza quella del corridore ciclista. Cose dunque molto diverse tra loro. Naturalmente mi sono dato da fare; per quanto riguarda la marina ho iniziato a informarmi sulle navi da guerra, sui meccanismi, com'è fatto il motore. Nel ramo paterno la mia famiglia è stata composta tutta di medici: padre, nonno, bisnonno, mentre quello materno è invece un ramo tutto di musicisti, attori, attrici, pittori, anche un po' dilettanti per quanto riguarda il teatro, però bravi perché dalle mie parti le cose si fanno sempre con molta serietà. Io sono concittadino di un filosofo come Carlo Michelstaedter e questo la dice lunga. Quando vado a Gorizia a fare le mie lezioni, l'accademia per cui da quest'anno insegno è collocata in un grande palazzo ex nobiliare. A un certo punto ho compreso che la matematica, entrando attraverso quest'anonimato, quest'astrazione, conduceva alla musica. I primi richiami per l'interesse verso il sesso femminile cavalcavano sopra la musica. Ho realizzato che il mio desiderio di velocità in bicicletta dipendeva proprio da quest'ultima. Quando ci andavo mi veniva immediatamente nell'orecchio.

Come mai, mi chiedevo? Poi ho pensato che ciò che unificava la mia esistenza era proprio la musica. In seguito ho cominciato a sentir dire da tutti quanti come facessi a ricordarla così bene. Io ho una fortissima memoria naturale e quella musicale ne è una parte. Tuttavia ho anche compiuto un gesto che ha a che fare con quello che dicevo all'inizio. Voglio sperare che lei non prenda alla leggera quest'aspetto di me, cioè l'esoterismo e il legame con il demoniaco. Ho iniziato a leggere e studiare demonologia, magia nera, culti demoniaci molto presto, addirittura prima dell'adolescenza. Crescendo ho sempre continuato con quest'attitudine. È interessante ricordare che sono arrivato a Milano venendo dalla provincia più remota d'Italia, cioè il Venezia Giulia, quel brandello che era rimasto, precisamente da Gorizia. La casa dove sono nato nel 1935 è stata poi abbandonata, allora c'erano le bande di Tito che avevano occupato la città. Quando nel 1947 la Conferenza della pace di Parigi decise la sorte delle nostre città, stabilì che il confine tra l'Italia e la neorinata Iugoslavia sarebbe passato attraverso la nostra casa. Questa è una cattiveria dei francesi. Devo tuttavia dire che avevano ragione per il modo infame con cui Mussolini dichiarò guerra alla Francia, semplicemente per impaccarsi qualche briciola del bottino di Hitler, a costo di "qualche morto".

Il risultato è stato che poi ha dovuto cedere alcune città. In quel momento storico ho avuto contatti con personaggi cultori dello spiritismo, ma di uno spiritismo che andava verso la direzione del demonio. Allora mi sono legato a quel mondo infero e lì ho realizzato che la musica è fatta di una sostanza composta dalla felicità attraverso l'amore, l'eros. Per me l'inno nazionale non è né Fratelli d'Italia né God Save the King né il Götter Alte austriaco né il Deutschland, Deutschland über alles tedesco e nemmeno l'"Allons enfants de la Patrie" francese o altri. Conosco tutti gli inni nazionali e anche quelli locali, posseggo diversi volumi in merito con partitura e testo: è una mia mania. Ma per me l'inno supremo è il poema di Lucrezio De rerum natura, in particolare quel passo che parte dal verso 1010 e termina al verso 1080, dove l'autore descrive il congiungimento carnale tra la donna e l'uomo. Un testo che tutti i bambini dovrebbero leggere appena hanno l'uso di ragione, una delle cose sublimi, supreme in letteratura. Questo è un atteggiamento che ripulisce tutto dalla sporcizia. Per i ragazzi adolescenti l'incontro con la sessualità è sempre sporco, volgare, poi magari cambia ma in quel momento è disgustoso. Io sono riuscito a passare attraverso tutto questo, da persona normale a innamorarmi e sposarmi, grazie proprio a questo mutamento di campo.

Rifiuto un'educazione cristiana cattolica, religiosa nella sostanza, e aborro le tre religioni, che poi sono le uniche sul pianeta, essendo le altre non tali ma culti o invenzioni. Il buddismo, per esempio, non è una religione ma una filosofia ateo/nichilista, l'induismo una mitologia o mitografia. Le stesse caratteristiche di mutevolezza e di aleatorietà le hanno i miti ellenici e romani, che sono belli, così come il libro del Ramayana. I testi della Bibbia, sia l'Antico che il Nuovo Testamento, non incontrano la mia benevolenza. Malgrado questo c'è in me una fame inestinguibile di sapere per cui io, innamoratissimo dell'idea di conoscere il maggior numero possibile di lingue, quando facevo l'università, proprio dal primo anno, quando avevo quindici, sedici anni, sono venuto in possesso di una grammatica ebraica e di una vecchissima edizione, fatta a Londra nel 1720, di una Bibbia in ebraico. Allora ho imparato l'ebraico, mentre adesso sto studiando il pracrito, che è una lingua intermedia tra il sanscrito e il nulla. Il sanscrito l'ho studiato bene e attentamente in questi anni. All'inizio del matrimonio mi spostai a Milano, non perchè lì volessi trovare un posto di lavoro, poiché già insegnavo dalle mie parti, ma semplicemente perchè avevo conosciuto una ragazza che risiedeva a Milano.

Era la figlia del direttore dell'ospedale militare, il generale Giuseppe Poccia, un uomo simpatico, a differenza di mia suocera. Dunque conobbi questa signorina, in quel momento insegnavo al Liceo Classico di Belluno come supplente, ero giovanissimo, diciannovenne quando mi laureai. Lei aveva qualche anno più di me, era bellissima, bionda, nessuno avrebbe detto che fosse calabrese, nata in una di quelle famiglie di tipo normanno. Io invece sono nordico, ma sono piccolo. Il nostro matrimonio è stato d'indicibile amore, felicità e fedeltà. Per seguire lei abbandonai questo "buen retiro" di Belluno, dove nessuno prendeva la mia cattedretta. Un posto delizioso e una classe meravigliosa, una sola sezione di studenti e studentesse adorabili, erano giovani come me, anzi lo ero più di molti di loro. Conservo tutt'ora dei rapporti stretti con questi miei primi allievi, prolungato nel corso di tutti questi anni, ho mantenuti i contatti con tutti, prima di liceo e poi di università. So i nomi di tutti e questo si lega a quello che a un certo punto ho fatto. Attraverso i miei libri di magia nera, che conservo tutti in alto nella libreria, inaccessibili in uno scaffale laterale perchè nessuno deve toccarli, c'è l'indicazione di come venire a contatto con il demonio. Ho quindi imparato come si fa.

Nella notte indimenticabile tra il trentuno ottobre e il primo novembre, i cretini americanizzati la chiamano Halloween ma in realtà si chiama "Walpurgisnacht", la Notte di Valpurga, del 1971, data per me memorabile, è avvenuto un qualcosa di molto importante. Sul davanzale della finestra del mio piccolo studio, che si raggiunge girata una fila di libri (me la indica), preparai una specie di altare infernale e ubbidii alle richieste, alle esigenze per entrare in contatto con il demonio che erano indicate. Un testo lo posso nominare, è il più terrificante e si chiama "Turba philosophorum". La lingua latina applicata a questa materia infernale suona terribilmente sinistra, ancor più dell'ebraico, del greco, dell'arabo. Diventa da brivido, da pelle d'oca. Per tutta la notte fui sveglio, inginocchiato dinanzi a una statua fatta di un materiale comune, il DAS, che si secca indurendo subito. Io ho un modo da dilettante, ma mi hanno sempre detto che sono bravo, di dipingere e scolpire, lo pratico sin da bambino e mi piace molto farlo. Ho realizzato dunque questa statua a regola d'arte. In un famoso libro di magia nera, che si è costituito tra la fine della filosofia pagana e il Concilio di Trento, in un migliaio di anni di tempo, ci sono delle prescrizioni su come fabbricarsi la statua.

 



Bisogna scegliere un demone che si trova effigiato in un famoso "Dictionnaire Infernal" di Jacques Auguste Simon Collin de Plancy, non ha altri cognomi (sorride). Io ne ho scelto uno, il più terrificante, Metratron, una parola greca deformata che significa al di là della potenza, da "meta" e "tron". Il nome corretto è Metatron e non Metratron; quest'errore è codificato dalle pergamene medievali e soprattutto rinascimentali. Nella cerimonia c'era l'atto di dedizione, di abiura da qualsiasi religione positiva, ma io non avevo mai accettato la religione cristiana, e poi l'accettazione di questo legame profondo. C'è una precisa procedura da seguire, che è molto simile a quella di una qualsiasi ritualità. Che cosa ho chiesto? Alla fine come nelle favole, dei testi che dicono profonde verità, le quali sono molto più vere di certa storiografia, ci sono i tre desideri. Anche nelle fiabe di Le mille e una notte si racconta della lampada di Aladino e del genio che è dentro di essa, in cui viene chiesto di esprimere tre desideri. Ne avevo quindi isolati tre. Vorrei fosse chiaro che non sto scherzando ma sto parlando di cose reali che hanno dominato tutta la mia vita e sono documentate negli effetti.

Alla fin fine, dopo un linguaggio agghiacciante, serpeggiante, un po' in latino e un po' con qualche parola araba ed ebraica, si arriva al punto in cui si trova detto in parole più semplici, in termini di fiaba, "scegli fra questi tre doni", non tutti e tre insieme ma uno tra loro. Primo: enorme ricchezza, benessere, potere, il mito di re Mida. Secondo: il sesso. Allora mi stupivo di questa storia, sembrandomi poco seria, poi però ho capito che tale termine è inteso correttamente in questi testi come l'eros nella sua totalità. Ci può essere anche l'abbandono alla natura, la preghiera per farmi diventare natura, uno sciogliersi in acqua, per esempio, o diventare una sola cosa con il cosmo. Questo poteva anche interessarmi però c'era sempre la questione della sessualità, e quindi qualcosa che la faciliti, che a me non piaceva poiché volevo fare degli incontri che fossero tosti, cioè di difficoltà di grado superiore per mettermi alla prova. Mia moglie mi ha fatto penare tre anni prima di darmi del tu, non mi voleva, assolutamente. Sa, una sofferenza terribile che mi portava a piangere. Poi le faccio vedere una fotografia di mia moglie il giorno del matrimonio e lei capirà il perché di questo mio invasamento, che tutti quanti hanno compreso.

In quel momento ero coniugato da otto anni, dunque eravamo nel 1971, essendomi sposato nel 1963. Pensavo fosse inutile chiedere tale cosa in quanto avevo già avuta la felicità coniugale, ma anche quella tra due esseri che in sostanza prescindono da tutto il resto e si considerano soli nell'universo. Questo è il momento supremo del legame di Eros. La terza cosa che era possibile chiedere era un'improvvisa accensione, inestinguibile poi nel corso della vita, della memoria. L'insegnamento per molti è un ripiego, io sono laureato in filosofia in prima istanza, poi in lettere antiche, ho fatto in seguito tanti corsi di musicologia applicata e speciale. Tutte cose specialissime, tuttavia sono partito da una laurea in filosofia, la più logica per me. Vedevo, a mano a mano che andavo avanti, che era necessario conoscere i testi, come si fa a entrare nelle "summe" di Tommaso d'Aquino, nei Dialoghi di Platone, nelle Enneadi di Plotino? C'è un'immensità fluviale di libri, anche latini classici, non molta filosofia, c'è Seneca naturalmente. A me la filosofia morale interessa molto meno, al contrario della gnoseologia. Mi sono poi imbattuto in Lucrezio, di cui conoscevo la grandezza per averla accertata sui manuali di letteratura, ma di fronte al testo reale sono stato fulminato, quindi mi sono lasciato guidare da lui e, per farlo, ho iniziato a esercitare la memoria che mi doveva essere stata concessa dalla mia opzione la notte tra il trentuno ottobre e il primo novembre del 1971.

"Vediamo se funziona", mi sono detto. Ho atteso prima di sperimentare, constatando poi che andava benissimo. Ho visto che mi bastava dare uno sguardo e i testi, le musiche che ascoltavo, le persone che dicevano certe cose, le notizie che trovavo nei testi di storia, o anche nei quotidiani, s'imprimevano indelebilmente nella mia mente. Per avere più che altro un supporto estetico, ho iniziato a creare dei miei libricini che volevano essere un'antologia delle cose più belle che io conoscessi in campo poetico, filosofico, musicale e altro. Mi sono accorto che c'era quasi una mano invisibile che scriveva per me (mi mostra due quadernetti, con la copertina finemente intarsiata, con grande cautela mi consente di prenderli in mano). Qui ce n'è uno che è finito, con le pagine tutte occupate, e questo è come il libro mastro. Dovunque vada a far lezione e quale che sia il suo oggetto, dandone io non solo di letteratura ma anche di musica, musicologia e altre materie, mi porto sempre dietro questo manualetto. Tutti questi testi li avevo letti una sola volta, poi li ho scritti a mano a memoria, poi naturalmente controllando, e non ho trovato un solo errore. La mia memoria è ormai inestinguibile, in due settimane ho memorizzato l'intera Divina Commedia e, infatti, sto facendo da sei anni la Lectura Dantis integrale nella sede della Casa editrice Jaca Book, diventata la mia prediletta e stampatrice dei miei libri.

Già conoscevo tanti di quei canti danteschi perché ne ero innamorato. Quando a scuola, all'università in particolare, ho dato gli esami, non è che sapessi a memoria tutto il poema, ma dal momento in cui ho deciso di fare il rituale demoniaco, l'ho memorizzato integralmente. Mi sembra inequivocabile che esista un rapporto tra questo, con le sue opzioni, con quel tipo di libri, di scelte, di credenze, e questa mia capacità che sorprende tutti. Conosco a memoria tutto il De rerum natura. Dell'Odissea e dell'Iliade basta che io scelga il libro e ho tutto presente, non è uno scherzo farlo in greco, anche nel libricino che le ho mostrato ci sono poesie greche, anche di autori moderni. Si trovano nelle librerie Feltrinelli.

 



ADP: Devono essere preziosi per lei questi manualetti...

QP: Questi? Non hanno prezzo. In essi ho anche un po' esercitato il mio gusto per la miniatura, questi (me li indica) sono versi del Trovatore, quell'Arnaut Daniel modello di Dante nelle Rime petrose. In altri di questi libricini ci sono molte piccole miniature. Quest'altro è il mio prediletto subito dopo quello che abbiamo davanti, lo porto in giro perché mi è utilissimo, scritto per metà, anzi devo fare il possibile perché ci stia dentro tutto quello che ho in mente. Insomma, sono come la moltiplicazione dei pani e dei pesci, approfittando della mia capacità di condensare tutto. Questo (me ne mostra un altro) contiene invece nozioni, importanti notizie matematiche, astronomiche, citazioni di testi memorabili, aforismi e poi pure delle indicazioni storiche preziose che nessuno conosce. Può anche dare un'occhiata se vuole.

ADP: Ci sono anche delle formule matematiche, la Successione di Fibonacci.

QP: Questo mi serve per fare lezione.

ADP: Vedo scritta la proporzione divina, che viene utilizzata anche nella progettazione dei mobili dei diffusori acustici. Vedendo questi suoi scritti comprendo anche il suo intelletto, così prezioso, così meticolosamente particolareggiato.

QP: Si. Quando preparo i miei allievi, i quali all'inizio sono un po' stupefatti, avendo per cominciare soltanto quaranta ore di lezione, non poche in assoluto ma risicate rispetto al mio progetto, devo prendere delle cantanti, dei cantanti, musicologi in erba, direttori d'orchestra nascenti. La loro età va dai venticinque ai quarant'anni. È mio desiderio trasformarli da una tribù un po' sparsa di persone che non si conoscono, perché vengono da tutte le parti del mondo, metà sono italiani ma l'altra metà vengono dal Ghana, dall'Australia, Brasile, Lettonia, Mongolia Esterna e altri Paesi, in un gruppo ben affiatato. Voglio che diventino un nucleo privilegiato, che sappiano tutto. Lunedì prossimo parto per il mio terzo turno, porterò dei DVD per far vedere delle opere. Queste persone vogliono fare i musicologi, hanno poca esperienza, le cose che hanno fatto, avendo avuto delle parti anche come cantanti, non consentono loro di sostentarsi, non è così che si può vivere. Quindi li ho "traumatizzati" perché ho iniziato con la nascita del melodramma, dicendogli di cercare di ricordare queste nozioni, molto utili anche se io non riuscissi a parlargli di nessun'altra opera, ciò che non è poichè tra pochi giorni vado lì con un bel programma di canti e titoli d'opera da far ascoltare.

Mi sono rimaste ancora dodici ore di lezione, un numero in cui se uno non perde tempo riesce a dare un'idea di almeno sei opere importanti. Si può comunque tagliare qualcosa, antologizzare un po' l'argomento. Voglio che loro sappiano tutto, ma in che senso si può chiedermi? Nell'unico possibile: tutto. Tutto quello che c'è da sapere lo devono sapere: titolo dell'opera, titolo reale, i titoli sbagliati, anche questo è cultura, chi ha dato i titoli sbagliati, a chi è dedicata quest'opera, perché a un certo punto l'autore ha cambiato la dedica, qual è la lingua originale. Se si tratta della Rusalka di Dvořák come si fa? S'impara il ceco! Non occorre parlare del ceco per far svenire le persone, basta dire Wagner e s'impara il tedesco. Lo sapete il tedesco? No. E allora non potete fare i musicologi. Si può imparare dormendo al massimo mezz'ora ogni ventiquattro ore, come ho fatto io. Mica sono morto no? Se non avessi avuto quest'incidente salterei come facevo una volta su per i monti. Quando sono seduto non penso di dare l'impressione di essere un moribondo.

ADP: Assolutamente no, ha un'intelletto vivacissimo! Io di fronte a lei mi sento un celenterato.

QP: Per carità, non esiste questa situazione, si tratta semplicemente di fabbricarsi e penso che lei si sia costruito molto bene, come credo che altri non lo abbiano fatto. Mio figlio si è fabbricato bene, mia figlia non le dico, ma chi lo ha fatto meglio di tutti è mia nipote, che ha trent'anni, della quale può vedere tanti video su YouTube. Si chiama Costanza, che è il nome di mia moglie, mentre il cognome è il mio. Suona il pianoforte, ha recentemente pubblicato un primo disco e ora ne sta preparando degli altri. Le ho insegnato un po' il "patto" di cui abbiamo parlato, infatti stupisce tutti. Le dicono di preparare una data cosa di Šostakovič, per esempio, anticipandole che è difficile, ma lei la prova una volta sola e la sa perfettamente. È evidente che non sia una facoltà rientrante nella normalità. Tra me e lei, scavalcando mio figlio, una generazione quindi, c'è una specie di accordo segreto, qualcosa di non naturale. Tutto questo per dirle quale è il motore, quale il carburante di tutta questa sfrenata mia velleità. Io ho modo per tutte le date di conoscere il giorno della settimana e questo manda in bestia tutti quanti.

Una volta mi ha scritto una collega che insegna all'Università di Torino dicendomi: "Caro Quirino, da tempo volevo scriverti perché ti confesso che io, ma anche tutti i miei colleghi qui all'università, quando leggiamo i tuoi articoli sul Sole 24 ore o i tuoi libri siamo tutti stufi di questa tua ridicola mania di mettere sempre il giorno della settimana dove c'è una data. Mi verrebbe voglia di domandarti come fai a saperlo, quindi te lo inventi. E comunque anche se non te lo inventi è una cosa inutile, non serve a niente. Cerca di correggerti perché stai diventando antipatico a tutti." Cosa che invece non succede poiché ai miei allievi sono simpatico. Allora io risposi dicendole: "Carissima, mi spiace che tu abbia questa sensazione, io ho le mie fonti." In effetti sono munito di libri che loro non conoscono, di testi di cronologia, le effemeridi precise, inderogabili perché la cronologia è una scienza esatta come la matematica, non opzionale come la giurisprudenza. Poi ho aggiunto: "Mi rincresce che tu dica di aver stufato tutti con questa mia mania, mi spiace. Mi domandavi perché lo faccia, affermando che con questa mania di mettere tutti i giorni della settimana ho annoiato tutti. Ti rispondo subito dicendoti che questo è esattamente il mio scopo."

ADP: Ricordo che nella sua Lectio Magistralis sulle Variazioni Goldberg di J.S. Bach, intitolata "Chi doveva essere pagato", lei citava i calendari giuliano e gregoriano.

QP: Per me è un cavallo di battaglia. Quasi nessuno sa più queste cose, soltanto le persone attente, con qualche guizzo maniacale se ne interessano. Penso che lei, nelle sue zone segrete, abbia questi guizzi maniacali.

ADP: Si, ci ha preso maestro. Lei è un uomo di grande intuito.

ADP: Una sua affermazione, rilasciata durante un'intervista, mi ha molto colpito. Lei ha detto che "Tanto più un musicologo è grande tanto più marcata è la croce del suo fallimento." Vorrei dunque toccare l'argomento della critica musicale domandandole che ruolo a suo parere rivesta nell'attuale panorama culturale.

QP: Ne penso molto male. Se lei prende, poniamo, un testo classico come la raccolta delle recensioni di Schumann, che in Italia è stata pubblicata in un bellissimo libro einaudiano già alla fine degli anni quaranta, oppure se si leggono i suoi Diari, di cui ho tradotto tre annate per una casa editrice torinese, si può arrivare a determinate conclusioni. Avendo io guardato da vicino, possedendo l'edizione tedesca originale di questi Diari di Schumann e di Clara, una lettura meravigliosa, ho visto come Schumann dà proprio una lezione di concretezza. In questi a un certo punto si dice: "Nella terza battuta del secondo tempo c'è un particolare, questo provoca inevitabilmente un effetto psicologico", cioè ricostruisce con umiltà assoluta l'iter del passaggio da una sensazione, una "αισθησις" a una "αισθητική", poiché estetica deriva dal termine greco αισθησις, come lei certamente sapeva. È una cosa che colpisce il nostro corpo, poiché l'orecchio è parte di esso, e dopo si trasfigura. Se io, per esempio, devo spiegare il finale del primo atto di Otello, quel meraviglioso duetto (si siede al pianoforte), arrivati alla fine "Un bacio... ancora un bacio", il canto diventa una linea piatta, siamo nella tonalità di mi maggiore e questo manda in estasi le signore quando ascoltano.

Otello canta "Già la pleiade ardente al mar discende" e Desdemona replica, sempre in mi maggiore: "Tarda è la notte". Nel momento in cui lei dice il "te" della parola notte c'è una modulazione formidabile, il passaggio da mi maggiore, la triade mi/sol diesis/si, con un piccolissimo spostamento arriva al re bemolle maggiore, in cui cambia il colore, come se un rosa invadesse l'orizzonte. Lei lo sa che io non ho trovato questa semplice osservazione tecnica in nessuna delle grandi monografie su Verdi, lì si parla soltanto di sensazioni. Ma spiegami perchè dà quest'effetto! Sarà di aiuto anche ai giovani compositori, per esempio. La critica musicale dev'essere una lezione, non una generica affermazione del tipo "Oh, com'è bello!" Devo dire che ormai si sta perdendo il senso dell'amore per la precisione. Ci sono recensioni di certe persone che usano un linguaggio di filosofia della musica, essendo gli scriventi dei babbei che conoscono soltanto il Rock e il Rap. Sono abbonato a una bellissima rivista settimanale, ma quando si arriva alla pagina di musica c'è il crollo perché in Italia non s'insegna la musica se non nei conservatori, mentre in altri Paesi s'insegna nella scuola. Quindi si è abituati. Nella Repubblica Ceca ci sono dei bambini delle elementari che mettono in scena degli spettacoli con musica composta da loro.

Suonano gli strumenti. Una scrittrice e traduttrice è stata purtroppo inclusa nella redazione di questo settimanale, che è debole per quanto riguarda la musica, in qualità di critico musicale. Non le dico la banalità di certe affermazioni, tipo "E a questo punto la musica parte per la tangente". Ma cosa vuol dire parte per la tangente? Allora spiega cos'è la tangente!

ADP: Sono quei paroloni che fanno scena e magari non si sa nemmeno cosa vogliano dire.

QP: Ma il bello è questo. Una rubrica di critica musicale di questa bellissima rivista è così concepita: in due pagine affrontate si parla di tre o quattro cosiddetti album di qualche complesso Rock. Poi alla fine, per decenza, troviamo una recensione a qualche composizione invece di musica alta, anche di autori antichi, una nuova orchestrazione e così via. Ma lì si potrebbe, data la sostanza, dire qualcosa di tecnico, che ci dia veramente un senso spaziale e temporale. Noi siamo fatti di spazio e tempo e dunque per noi la musica rappresenta la suprema esperienza del nostro muoverci in quelle due realtà. Invece niente, parole, parole ideologiche come "Il sistema ha lavorato contro", e poi la frase s'interrompe. Parlando di una Partita di Pierre Boulez: "Nella quinta battuta, finalmente nomina una battuta, avviene l'incredibile, il sistema ha lavorato contro." Cioè il nulla. Si continua dunque così, questa persona si prende magari un cospicuo emolumento. Anche io facevo critica su Il Sole 24 Ore, e spero di farla ancora, però dicevo esattamente quello che succede, così come nel caso di questo passo dall'Otello spiegavo perché c'è questo lampo di luce, questa modulazione che non ci si aspetta.

 



ADP: Per inciso, quando lei ha suonato quegli accordi in basso, sulle note gravi del pianoforte, ho avvertito la sensazione di uno sprofondare della coscienza.

QP: Certo. Lì c'è lo sprofondare e poi si verifica la risalita. Questo bisogna non solo dire ma spiegare tecnicamente come avviene. Adesso sto preparando un testo che dovrebbe essere quello introduttivo a una serie di atti da un convegno riguardante il momento che la musica sta attraversando oggi, s'intende quella che io chiamo forte. Qualcuno la chiama Classica ma non va bene perché è un non senso, Alfredo Casella e Richard Wagner non ne fanno parte, è un aggettivo fuorviante. La musica Classica è un breve periodo tra il 1750 e il 1790, più o meno perché già l'ultimo Mozart non lo è. Devo dunque scrivere un'introduzione che tocchi tutti i punti che oggi un critico musicale o abborda o colpevolmente evita. Prima c'è una distinzione precisa per quanto riguarda la critica musicale. Il prefattore di un libro che parli di un compositore e scriva in sostanza la sua biografia, che è pure un'eccellente idea, non fa critica musicale ma stila la vita di un signore qualsiasi che per caso faceva il musicista. Si può magari leggere che il nazismo cacciò in esilio tutti i musicisti espressionisti insieme con i poeti, Bertolt Brecht, Kurt Weill, la cosiddetta musica degenerata. Ma questa non è critica musicale, è storiografia.

È ora di finirla perché quella propriamente detta è un giudizio musicale emesso da una persona che conosce la musica tecnicamente, altrimenti non ha senso, su musiche composte da altri musicisti. Non vedo come uno privo di conoscenza della musica possa fare della critica musicale. Con tutta la mia ammirazione per i pittori, scultori, non mi sognerei mai di avere la faccia tosta di scrivere sulla rivista di cui sono redattore un testo di critica d'arte, anche se so che ne sarei capace. Qualche volta l'ho fatto perché erano cose un po' particolari, molto legate a certi fatti musicali. Per esempio l'arte di Paul Klee a proposito dei Quadri da un'esposizione di Musorgskij, lì va bene perché s'intende istituire questo rapporto, allora cerco di non dire bestialità rispetto alla mia competenza in campo pittorico. Direi che la critica musicale è un'attività che ha bisogno di essere sostenuta dalla conoscenza della musica. Ricordo di un anno in cui mi trovavo a Macerata per l'Opera Festival, lì ho conosciuto un tale, un critico musicale di un importante quotidiano romano.

Ebbene, mi fu detto da una signorina che era lì come giornalista, una persona pugliese di famiglia povera, che lei aveva speso un bel po' di denaro per iscriversi a un corso post universitario tenuto da tale critico, il quale partiva da alcuni dogmi: "Allora sia chiaro, primo, un critico musicale non ha bisogno di conoscere la musica! Anzi, è meglio che non la conosca. Annotatevelo!" I ragazzi, di fronte alla perentorietà di quest'uomo da loro invidiato perché ci guadagnava, era ben vestito e aveva una bella automobile, tutto azzimato, si erano convinti che evidentemente aveva ragione lui. Sono usciti allora dal corso spargendo questo verbo. La critica musicale oggi secondo me è insopportabile, occorre una rigenerazione della conoscenza elementare della musica. In Italia questo non è possibile in quanto c'è la dicotomia: chi conosce un po' il linguaggio critico, lo mastica più o meno bene, è uno scrittore, un professore di università, ma di solito non conosce la musica. C'è un noto scrittore, per esempio, considerato da alcuni un genio immortale, il quale non conosce nulla di musica, ma ha la predilezione per dare giudizi su questa dicendo: "La musica di diversa ispirazione, per esempio il Rock, il Rap, la Classica."

Dov'è la Classica oggi? Non ci può essere perché la nostra epoca non riposa sul concetto di classico ma su quello di critico, nel senso che è entrata in crisi. Viviamo in un tempo di smarrimento in cui il cambiamento è continuo, senza poter contare su un appiglio, su un punto fermo. Il famoso libro di Stefan Zweig, l'ultimo che scrisse prima di andare in esilio, parte proprio dalla descrizione di quella che era la cultura dell'Austria imperiale antecedente alla Prima Guerra Mondiale. Una cultura vivace, l'unica cosa è che oggi si sapeva quel che succede domani e che domani si saprà ciò che succederà dopodomani. Tale è la continuità di una cultura che ha delle ragioni forti. Ma una volta che perde le ragioni forti, le mette in dubbio, non c'è niente di male perché può essere un fenomeno che vivifica, che smuove, dobbiamo riconoscerla come tale e dire che non abbiamo categorie universali, di cui il libro di Spengler "Der Untergang des Abendlandes", Il tramonto dell'Occidente, che lei prima stava riconoscendo nei miei quadernini, parla. La decadenza dell'Occidente e la grande ragione di questa decadenza sta nel venir meno di giudizi universalmente condivisibili. Sarebbero anche tali ma la vanità, la presunzione di qualcuno fa sì che venga criticata la loro condivisibilità.

Questo per evitare che un errore da me commesso sia giudicato uno sbaglio d'ignoranza. No, ho semplicemente messo in crisi certe regole. Un matematico che ragioni così non è un grande matematico e lì si scoprono gli altarini. L'inglese-canadese anglofono Andrew Wiles disse nel 1981 di avere la soluzione del plurisecolare secondo teorema di Fermat. Cosa dice questo teorema? Che x elevato alla potenza "n" più y elevato alla potenza "n" può avere come equivalente un numero intero non decimale, cioè un numero solido, soltanto se l'esponente di potenza è pari a due. Questo significa che x alla terza più y alla terza non avrà mai come soluzione all'equazione un numero finito non decimale, non periodico o addirittura irrazionale non periodico, come per esempio il "π" o anche la radice quadrata di due. A tale proposito non so quanti musicologi oggi o quanti insegnanti di musica siano consapevoli della dicotomia tra la cultura filosofica, storiografica, anche matematica, e quella musicale. Quando la radice quadrata di due, questo terribile numero irrazionale che come lei sa, dicono i greci, venne a conoscenza dei pitagorici nel quinto secolo avanti Cristo, questi inorridirono perché era la prima volta che nella cultura occidentale del mondo greco, e probabilmente nella cultura "tout court" planetaria, veniva a galla un numero irrazionale, che per giunta riguardava un rapporto tra cose ovvie.

Noi sappiamo (siede al pianoforte) che il numero reale delle vibrazioni, in un pianoforte ben accordato con un buon diapason, del do centrale (abbassa il tasto relativo sullo strumento) è di 256 al minuto secondo, e che il do all'ottava presenta il doppio delle vibrazioni, cioè 512 e, a seguire, 1024 e 2048. A scendere troviamo la metà, che è 128, poi 64 e 32 Hertz. In mezzo che cosa c'è? Un rapporto di numeri irrazionali. Noi poi, per semplificare, questo 256 Hz lo possiamo equiparare a 1 e vedere tutti gli altri "do" in proporzione a 1. Allora quello a 512 Hz diventa 2 e così via. Qual è invece il numero di vibrazioni al minuto secondo di ognuno dei dodici suoni che formano una scala? Sono tutti numeri irrazionali (mi mostra una tabella scritta in un suo quadernino). I rapporti sono costanti e ogni semitono corrisponde a un aumento del 5,9% della frequenza del suono precedente, sulla base della radice dodicesima di due, cioè 1,0594. Si arriva così al fa diesis, il cui rapporto è di 1,41421, vale a dire la radice quadrata di 2. È meraviglioso. Qual è il rapporto tra la diagonale e il lato del quadrato? Sempre la radice quadrata di 2. Questo vuol dire che le cose di cui sono fatte le forme del mondo corrispondono a misure che troviamo nella musica e che questa è la depositaria di tutte le forme.

La successione di Fibonacci è nella musica, lo sappiamo benissimo. Tutto quello che noi crediamo essere astratto, geometrico, diventa poi suono, quindi anche bellezza e significato nella musica. Ecco perché la mancanza dell'istruzione musicale è terribilmente dannosa per noi occidentali e in Italia in particolare.

ADP: Nel suo libro dedicato alla biografia di Gustav Mahler indaga su tutte le sue composizioni, anche quelle più rare, a lungo inedite e incompiute. Ha voluto inoltre stilare un vero e proprio manuale mahleriano, traducendo tutti i testi delle composizioni vocali e delle poesie con il testo originale a fronte. Ha raccolto inoltre notizie genealogiche e filologiche sulle opere, sulle edizioni, sulla bibliografia e sulla famiglia del compositore. Cosa l'ha spinta a un lavoro così colossale, a una ricerca talmente approfondita?

QP: Quand'ero adolescente e studiavo pianoforte, apprendendo le pagine pianistiche di Schumann capii che quella musica parlava di me giovanotto. Ascoltando la musica di Mahler ho capito che quella parla di me post adolescente, avviato verso la vecchiaia e la morte. In particolare oggi la musica di Gustav Mahler è l'immagine della mia morte. Sono questi i due compositori che mi hanno sempre regolato. Ricordo che quando vivevo a Gorizia, cioè dalla nascita sino ai vent'anni, andavo in giro ma poi tornavo sempre in questa città, sinché a un certo punto non ci sono più andato. Considero quel momento la fine della mia gorizianità. Stavo a Belluno, poi a Milano. Sono tornato ora perché mi hanno dato quest'insegnamento, è un'impressione strana essere nella mia città. Non so se lei conosca Gorizia.

ADP: Veramente no, non ci sono mai stato ma mi riprometto di andarci.

QP: È una città magica che vale la pena conoscere, piena di misteri. In qualche modo la mia consapevolezza dell'avvicinarsi della morte mi viene accentuata e nello stesso tempo confortata dalla musica di Mahler. Ho riconosciuto nella musica di Schumann una promessa che sapevo non si sarebbe mai mantenuta, cioè la fine dei dolori. Non è questa la verità perché ho constatato, andando avanti nella vita, di aver avuto molta felicità da mia moglie e un indicibile dolore dalla sua scomparsa, avvenuta a sessant'anni esatti dal matrimonio. Invece la musica di Mahler mi dà la sensazione che ci saranno tante cose che mi potrebbero essere concesse, ma non avrò il tempo di apprezzarle. Così la musica di questo grande compositore mi fornisce indicazioni agghiaccianti e folgoranti di quello che mi aspetta dopo, che non ho capito se sarà il paradiso, l'inferno, oppure il limbo. Se ascolto la musica di Schumann, vengo sprofondato nella mia infanzia e ritorno bambino. A Gorizia c'è una strada dove si trova il bellissimo edificio in cui frequentai la scuola elementare, entrando a cinque anni non feci la prima ma passai direttamente alla seconda classe, effettuando il primo dei miei salti; era la scuola di Via Leopardi. Si tratta di una via un po' in salita, fatta di tante villette con giardini pieni di fiori profumatissimi, inebrianti e anche erotici.

Nei giorni immediatamente successivi alla morte di mia madre non trovavo altra soluzione se non, la sera tardi, di dire a mio padre che uscivo. Lui mi chiedeva: "Dove vai?", e io: "Vado in giro". Lui capiva, era molto severo con me. Percorrevo sempre questa strada, dove c'era una villa stupenda allora appartenente a un medico, il dottor Susic, lui faceva la professione libera mentre mio padre era medico dipendente della provincia e dirigeva l'Ufficio d'Igiene. Mio padre aveva uno stipendio mentre Susic guadagnava barche di denaro, era molto ricco, possedeva un'automobile, quando gli altri medici non l'avevano, e aveva una figlia unica che era tenuta come una moneta preziosa nell'astuccio. Aveva cinque o sei anni, era molto bella, sembrava proprio un angelo, ma improvvisamente si ammalò di difterite morendo in pochi giorni. Quest'uomo fu schiantato dal dolore, nessuno l'ha più visto in giro. Io passeggiavo tristemente per questa strada dopo la morte di mia madre, era fiancheggiata da tigli, alberi che fioriscono due volte all'anno mandando nell'aria il loro profumo. Cercavo di capire il significato di questa via cittadina, di trasformare le sue misure in rapporti geometrici che avessero un senso musicale. Da questa villa si arrivava al lato dove c'era la mia scuola elementare, da me molto amata, ma bisognava seguire un percorso obliquo, la diagonale del quadrato, e li iniziavo a capire. Ero un po' pazzoide evidentemente, mi consideravano un matto.

ADP: Mi fa venire in mente il famoso Lied "Der Lindenbaum" dal ciclo Winterreise di Schubert.

QP: Ma è naturale! Questo e altri lieder, per esempio quello bellissimo di Schumann su testi di Eichendorff che si chiama Mondnacht, notte illuminata dalla luna, e inizia con questi versi: "Es war, als hätt der Himmel/
Die Erde still geküßt/Daß sie im Blütenschimmer/Von ihm nur träumen müßt". "Era come se il cielo avesse baciato la terra affinché essa, nello splendore notturno, dovesse sognare soltanto di lui." Un atto magico. Che significato aveva "come se"? Il poeta non lo dice. Ripetevo questi versi mentre camminavo per la strada, pensavo a questa bambina, che non avevo mai conosciuto, mai visto in vita mia, immaginandomi come sarebbe diventata se fosse sopravvissuta. Piangevo e poi tornavo a casa, mi mettevo a letto e non dormivo. Il mattino dopo andavo a scuola. Questa è un po' la situazione in cui sono vissuto.

ADP: Esiste un considerevole nesso tra la produzione liederistica e quella sinfonica di Mahler, tanto che non è da considerare peregrina l'idea di due vasi comunicanti. Quanto è importante conoscere la prima, quella liederistica, per una limpida comprensione della seconda, la sinfonica?

QP: È immensamente importante! Risulta chiaro che questa connessione riguardava proprio una sua pulsione naturale. Gustav Mahler era un uomo fatto in un modo particolarissimo, ogni sua vibrazione da una parte diventava canto allo stato puro e dall'altro costruzione. Diceva da un lato: "Via tutto, ci sono soltanto io" e dall'altro: "Datemi il mondo da ricostruire". Era inevitabile che queste due forme di evocazione suscitassero qualcosa che non appartiene a questo mondo. Tutto in lui non appartiene a questo mondo, ma è evocato. Ciò lega fortissimamente le due produzioni. Nel Lied, inteso come genere musicale, fa sempre capolino, anche prima di Mahler, questo nesso. Nelle sinfonie di Schubert, per esempio, s'incontrano temi di lieder, nei quartetti, anzi taluni prendono il nome dal titolo del lied, come La morte e la fanciulla.

ADP: Di Schubert ci sono anche quelle bellissime variazioni per pianoforte e flauto sul Lied "Trockne Blumen".

QP: Sono d'indicibile bellezza (canticchia il motivo), in esse a un dato momento c'è una variazione che assomiglia al singhiozzo di un pianto, un sospiro se vogliamo. Ma anche in altri compositori, come per esempio Schumann, anche se non se ne parla sussiste questo rapporto. Lui utilizza sempre nei suoi pezzi pianistici frammenti melodici di lieder o viceversa, anche nel Trio N. 2, che è fatto tutto di pezzi di lieder uniti a pezzi delle Davidsbündlertänze. Dunque esiste certamente quest'osmosi. In altre tradizioni musicali europee non c'è ma in quella tedesca si, perciò la mia risposta alla sua domanda è certamente si. Non si può capire la musica strumentale di Mahler se non si comprende quella vocale, del resto lui ci ha aiutati in tal senso perché nella sua vita ha composto quasi soltanto lieder e sinfonie.

ADP: Le faccio una piccola confessione maestro. Io ascolto la musica di Mahler da quando avevo undici anni, ora ne ho sessantasette, ultimamente avverto quasi una paura nel sentirlo, per esempio nell'inizio della Sesta Sinfonia. Avverto un qualcosa che mi tallona, che sta per raggiungermi senza darmi scampo.

QP: La Sesta Sinfonia fu scritta nel 1903, è una premonizione degli stivali delle SS che andavano a cercare gli ebrei, questo l'ho scritto anche nel libro, ma mi sembra addirittura ovvio. È terribile. Alla fine dell'ultimo tempo c'è quel volo verso l'alto e poi la caduta. Una composizione meravigliosa che è stata messa in riga da questa mimesi di carattere militare, la visione dell'individuo che da solo deve fronteggiare un orrendo esercito di mostri, quello del vivere, della vita. Tutto è mostruoso, anche il secondo tempo, che per qualcuno è il terzo. Le racconto una storiella che narra di un famoso magnate dell'industria e del commercio americano, l'ebreo Gilbert Kaplan, che io ho conosciuto benissimo a un convegno ad Amsterdam su Mahler. Un incompetente ma che con i suoi stramiliardi aveva acquistato dei manoscritti originali delle sinfonie di Mahler, non di tutte, e si era messo a dirigerle senza aver mai studiato direzione d'orchestra. Siccome lui era ricchissimo, tutti dicevano: "Com'è bravo!" La cosa vergognosa e che l'altezzoso, schizzinoso barone Henry-Louis de La Grange, che tra l'altro mi odiava, avendo anch'io scritto una biografia su Gustav Mahler, tutti se n'erano accorti, non mi voleva intorno. A questo convegno mi voleva isolare e a un certo punto arrivò questo Kaplan.

L'altezzoso barone de La Grange diventò allora un cagnolino scodinzolante verso quest'ignorante. De La Grange era antipaticissimo ma colto, non geniale perché non faceva altro che sciorinare nozioni, una sequela messa in fila. Io non ho avuto bisogno di scrivere quattro volumi, me n'è bastato uno di milletrecento pagine.

ADP: Devo comprarlo.

QP: Eh, aspetti che facciamo la nuova edizione. Adesso non lo trova, è esaurito perché è andato al macero. Prima pubblicherò la nuova edizione del mio libro su Strauss e poi, inevitabilmente, seguirà quello su Mahler. Sarà il primo ad averla.

ADP: Lei è un insigne traduttore dal tedesco. Quanto dell'intima poesia espressa, per esempio nel ciclo liederistico "Lieder eines fahrenden Gesellen", l'ascoltatore che non conosce il tedesco si perde? In altri termini, quali sono i limiti in tal senso di una traduzione in altra lingua?

QP: La mia risposta è: cari giovani, nei limiti del possibile impariamo un po' più di lingue. Farete magari fatica ma proverete una grande felicità nel sentire le cose in un idioma che voi finalmente comprendete. Non solo, ma, dato il tipo di testi, sono proprio quelli che educano di più al godimento della musica, poichè è il tema, il pensiero che conferisce le emozioni. Dunque imparare, per esempio, quei versi iniziali di Eichendorff che citavo prima, i quali incarnano l'immagine meravigliosa, quasi egizia della dea Nut che guarda il dio Geb. Nut, femmina, il cielo, e Geb, maschio, la terra, con l'inversione rispetto al latino e al greco dei generi grammaticali. Tutto questo è sublime. Anche nella seconda strofa del citato Mondnacht bisogna conoscere il tedesco per godere della bellezza che questo Lied contiene. Io ho provato a tradurre moltissimi di questi testi, ma serve soltando per dire: "Sentite, quello che ascoltate in realtà va letto soltanto nella lingua originale. Studiatela e proverete cento volte la felicità che provate ora di fronte alla traduzione." Laddove nella seconda strofa si dice, in italiano: "C'era un sussurro misterioso nei campi/le spighe ondeggiavano in silenzio/si sentiva frusciare il vento sui prati/tanto chiara di stelle era la notte (So sternklar war die Nacht).

Qui il poeta, grandissimo, istituisce un rapporto causale, assolutamente magico e non prevedibile, tra il fatto che la notte sia piena di stelle e le spighe ondeggino, cioè che la natura in qualche modo si muova. Le stelle si mettono daccordo con le spighe.

ADP: C'è quasi una tridimensionalità.

QP: Appunto, forse si va oltre poichè si potrebbe pensare addirittura a una multidimensionalità degli esponenti. Cioè l'immensamente grande, ma questo fa parte delle scoperte del telescopio spaziale James Web. Si scopre che ci voleva proprio quest'aumento enorme della visibilità telescopica per capire che le galassie si comportano esattamente come fili d'erba, come api che fanno il loro lavoro e si costruiscono l'alveare. Che il virus del COVID 19 si comporta come gli ateniesi quando dovevano mettere in croce Socrate. Cioè che l'infinitamente piccolo corrisponde all'infinitamente grande e questo fa venire le vertigini, come la musica di questo lied.

ADP: Un'altra sua affermazione è che: "La musica di Schumann somiglia alla città in cui sono nato. Somiglia al profumo dei tigli di una certa via di Gorizia dove abitava una tale di cui ero innamorato". Talvolta si ha un rapporto particolare con la musica Classica, o "Forte", come lei la definisce, essendo colti da un timore reverenziale verso di essa. Un'altro fattore che può fare da ostacolo a rendercela familiare è la supposta acculturazione necessaria. Le chiedo quanto sia importante, nell'ascolto di una composizione, la cultura a monte e quanto il mero dato sensoriale.

QP: Com'è noto, la pedagogia di avviamento alla conoscenza della musica che è in atto nei circoli dei rappers o nel citato critico che dirige corsi di cultura musicale, è esattamente il contrario della realtà. Possiamo dire che maggiore è la conoscenza circostante di un oggetto, cioè di tutto quello che ha al suo centro ma che fa da contorno, si centralizza e diventa cuore. Se il rapporto tra un oggetto e il suo entourage è semplicemente enunciato, probabilmente non succede niente, ma nel momento stesso in cui noi ce ne interessiamo, lo dice anche la fisica quantistica, le particelle infinitesime sanno che noi ci prendiamo cura di loro e iniziano ad aggregarsi e a condizionarci facendoci capire che noi non possiamo più uscire da questa gabbia, da questa prigionia, perché se vogliamo occuparci di musica, e solo di musica, non possiamo trascurare la poesia, l'economia, geografia, storia, così ci accorgeremo che l'affermazione "solo la musica" diventa eloquente. Tutto viene trascinato come sistema da tutto, tutto diventa tutto. L'importante è aprirsi a quest'universalità con la volontà di farla entrare dentro di noi, se noi non l'abbiamo non succede nulla.

Quanti musicologi o critici d'arte, di pittura o altro pensano di essere chissà chi ma in realtà sono delle gatte morte, non essendo fisiologicamente e psichicamente disposti all'"intelligere", termine composto da "intus" e "lègere", con il significato di "leggere dentro". Non guardare soltanto dall'esterno ma entrarci dentro. Un concetto questo che richiama il Mito della caverna di Platone: se tu continui a guardare verso l'interno della caverna non capisci molto, voltati e guarda dall'interno verso l'esterno, così ti renderai conto che le ombre sono generate dagli oggetti che ci sono tra il grande fuoco e le pareti dell'antro.

ADP: Il suo bellissimo ciclo "Viaggio nel mondo di Gustav Mahler" per Rete Toscana Classica, lo confesso, mi è stato da sprone per proporle quest'intervista, che lei con grande gentilezza mi ha concesso. È stato realizzato in occasione del centenario della morte del compositore e si rivela essere un avvincente viaggio attraverso la vita e il catalogo completo del musicista ripartito in dodici puntate. A chi si rivolge davvero questo ciclo, avendolo io trovato adatto sia al novizio che al conoscitore, anche se in diversa misura?

QP: Sicuramente interessante è la programmazione di Rete Toscana Classica, un'ottima emittente dietro la quale c'è la gentilezza e la grandezza morale di Alberto Batisti, che ne è l'ideatore e fondamentale ispiratore. Parliamo di un grande musicista, che come compositore incontra quelle difficoltà in cui tutti i suoi colleghi s'imbattono se vogliono andare avanti in quest'ambito. La sua sostanza la conosco molto bene perchè l'ho frequentato. È un uomo col quale ho parlato provando emozioni perché lui me le ha fatte nascere, ci siamo subito capiti, l'ho visto dirigere in un'altro festival, quello che si svolge intorno a San Miniato. Lui ha messo in piedi questo gruppo di persone che fanno il loro lavoro gratuitamente nella sede di Rete Toscana Classica. Ciascuno ha un'altra occupazione che gli dà da vivere, ma nella Rete Toscana Classica tutti lavorano gratis e magnificamente bene. È un grand'uomo Alberto Batisti. La sua fisionomia è in qualche modo una buona risposta alla sua domanda, vale per me ma vale per chiunque possa avvicinare quel magnifico ambiente. La sua città è Perugia, non so se abiti in questa città ma lì esiste il centro della sua attività, uno che lo voglia conoscere e frequentare deve recarsi in questa.

Ogni città somiglia al modo di sentire che provoca in noi. Perugia può essere l'evocatrice di libri che non abbiamo mai letto ma che ci dicono essere bellissimi e che noi non troviamo più nelle librerie. È un'immagine metaforica la mia, dove i libri sono le idee, gli incontri. Questa città umbra lui la vive nascondendosi spesso in luoghi umili, semplici, poi uscendo sulla strada e incontrandoti, dicendo delle cose bellissime, dandoti l'impressione di essere un musicologo, oltre che un musicista, un autore. Qui la vita sorride, Batisti è un uomo sereno di cui non immaginiamo le angosciose sofferenze che invece ha attraversato e sta attraversando per cercare nella musica la verità. Soffre enormemente ascoltando la musica perché le chiede qualcosa che in questa fase storica l'Occidente, e la necessità di vivere in questo, ti nega quasi completamente. È un uomo che dovrebbe vivere in un'altra epoca e in un altro ambiente. Una figura molto dolorosa e piena di pathos.

ADP: Il compianto musicologo Paolo Isotta ha definito lei "Il più grande mahleriano vivente". In realtà, più che porle un quesito desidererei da lei un consiglio su una musica che ho sempre trovato potente, in certi frangenti cataclismatica, eppure anche profondamente intima e raffinata. Penso alle due Nachtmusik (Allegro moderato e Andante amoroso), secondo e quarto movimento della Sinfonia N. 7 in mi minore. Quando si è davvero pronti a riceverla, quando "verrà il tempo" per chi desidera lasciarla percolare nel proprio animo?

QP: Bisogna essere avanti negli anni per capire, occorre che queste musiche risveglino in noi un senso di perdite irreparabili, devono rievocare in noi qualcosa di molto dolente. Non possiamo utilizzarle come rivelazioni di salvezza. Il suono notturno dà l'idea veramente di quei profumi, di quegli odori che sono a volte di fiori e a volte anche di colaticcio, di fogna insomma, di bassifondi di città.

ADP: Anche l'utilizzo della chitarra e mandolino nella seconda Nachtmusik, l'Andante amoroso, è molto interessante.

QP: Quello sorprende. Gustav Mahler, come in genere i compositori austro-tedeschi, capiva perfettamente che la mediterraneità non è quella delle operette viennesi, cioè la festa. Qui c'è il brutto, la paura, il viscido, ciò che ti può aggredire improvvisamente, tutte cose che attirano. L'uomo del nord è allettato da questi elementi. Io per esempio sono affascinato dal Sudamerica, non ci sono mai andato, non ci andrò mai, credo che se ci andassi impazzirei dall'infelicità, dall'odio perché non potrei sopportare quel tipo di vita, di società inaffidabile e anche volgare. Eppure, non so per quale motivo, ne vengo attratto. Quando poi tutto questo si ripulisce nella poesia di Borges, allora davvero mi calamita risucchiandomi. Ecco, questo potrebbe essere un esempio analogo. Allo stesso modo in questo clima notturno, nel canto della notte, a un certo punto s'insinua uno spiraglio di aria fresca, però questa è maleodorante, ma comunque è fresca. Si verifica quest'ambivalenza, ciò che ti consola può essere anche fresco ma è maleodorante. Un incontro con la femminilità, per esempio. Io non ho mai avvicinato una prostituta in vita mia né mai sarebbe pensabile che lo facessi, è una cosa che a me repelle. Le confesso anche che non ho mai avuto rapporti diretti con la femminilità prima del matrimonio. Molti mi hanno preso in giro, ma a me è andata così, l'unica donna con cui ho avuto rapporti è stata mia moglie, non ne ho avuti altri né prima né dopo.

ADP: Questi finali mahleriani poi, in cui si passa dalla tragedia più nera a un'esplosione di gioia che ha un sapore illusorio, forse troppo trionfalistica.

QP: Si, io lo legherei a una sensibilità che non è mai stata studiata bene, neanch'io l'ho fatto, ma forse nella nuova edizione intendo farlo. Parlo dell'attrazione segreta, non confessata, che Mahler sentiva, al di là della storia che lo interessava, per la sociologia urbana, che gli piaceva anche descrivere, delle città, per la cosmologia. Esiste quest'improvvisa esplosione, quella che noi da sempre ci aspettiamo succeda all'universo, che in un dato momento si crei uno squilibrio nell'ordine universale, in quello delle grandezze cosmiche e delle forze che regolano queste grandezze, per cui tutto a un certo punto esplode in una pirotecnia che sembra quasi gioiosa. Non succederà nella nostra esistenza, ma potrebbe accadere ai nostri lontani discendenti poiché Mahler guarda molto lontano. La decima sinfonia, non soltanto nella parte compiuta ma anche in quella ricostruita da Deryck Cooke, è profondamente evocatrice di sfere cosmiche. Nel Finale per esempio, un movimento lentissimo, con quell'improvvisa ascesa di tutti gli strumenti in unisono, impegnati in una sorta di scala cromatica dissonantissima. La buona direzione d'orchestra a questo punto deve esagerare e tenere il più possibile fermo quell'accordo, per poi scendere.

ADP: Già l'assolo di timpani all'inizio del Rondo-Finale della Settima è come una scossa elettrica...

QP: Quello è emozionantissimo. Lei sa qual è la sua origine? Mahler era a New York, verso la fine della sua infelicissima trasferta, con Toscanini che gli faceva la forca. Racconta Alma, questa volta benemerita con il suo spettegolare, che un giorno, loro abitavano in un Hotel a un piano molto alto, a un certo punto si avvertì che il brusio della strada sottostante, sempre molto fitto, si era come fermato e poi si sentì una musica funebre. Stava passando un funerale, in cui forse c'erano di mezzo italiani del sud, con un'idea di celebrarlo alla maniera delle processioni meridionali, nelle quali c'è tanta gente, anche sconosciuta. Questo è un fatto cattolico, non protestante; si pensa a una comunità cattolica d'italiani. A un certo punto si sentì un forte colpo di tamburo. Uno che lo suoni da solo può suscitare fastidio, tanto da indurre ad affacciarsi alla finestra e dire: "Sentite, fateci dormire per favore perché non abbiamo voglia di sentire il tamburo, quindi ve lo portate a casa." Lì invece provocò un'impressione incancellabile proprio perché era nudo, non c'è niente intorno. Per me queste cose hanno una capacità evocatrice straordinaria di campagna, di paese.

ADP: Quali sono i direttori d'orchestra che lei predilige nell'interpretazione del repertorio sinfonico mahleriano, e perché?

QP: Questa è la domanda più difficile perché analizzare diventa poco appagante, essendo l'insieme a contare. Potrei citare diversi direttori d'orchestra per diverse ragioni, è un po' strano ricordarli insieme. Scelgo un nome che mi è sempre piaciuto perché ha anche avuto un po' di sfortuna nella vita per motivi di salute, Klaus Tennstedt. L'ho buttato lì, ma al momento non me ne viene un altro. Posso citare naturalmente anche Knappertsbusch, Klemperer. Per quelli più vicini a noi pensavo a Wyn Morris. Ho sentito Tennstedt a Salerno al festival che faceva Livia Ambrosio, una ricca signora con un fratello che si chiama Vittorio, anche lui possidente perché proprietario terriero, produttore di mozzarelle di bufala squisitissime, fichi e altri prodotti. Entrambi ammirevoli perché facevano cultura, con le loro forze e senza spendere denaro pubblico né privato per prendersi aiutanti. Da soli hanno mandato avanti per anni il bellissimo Festival Filarmonico del Mezzogiorno. Tutto quanto è finito per una meschina vicenda. Loro avevano preso contatti con un certo religioso, il quale per qualche anno aveva dato il suo benestare alle rappresentazioni, poi un bel giorno, il terzo anno, fece a loro la richiesta di dare un posto di lavoro a suo nipote, in quel momento disoccupato.

Una raccomandazione insomma. Allora Livia Ambrosio rispose che erano già appagati dal loro lavoro e non potevano soddisfare la sua richiesta. Lui allora cambiò subito tono e alla prima occasione li ha defenestrati. Avevano già preso contatti con il maestro Celibidache, il quale avrebbe portato l'Orchestra Sinfonica di Monaco, un evento dunque irrinunciabile, scegliendo la vigilia del primo concerto. Purtoppo, a biglietti già acquistati questo religioso bloccò tutto. Così si rese necessaria pure la restituzione del danaro versato per la partecipazione al concerto. Fu un tracollo economico per la famiglia Ambrosio. La sua scusante fu che non si poteva rappresentare in Duomo una musica profana. Dopodiché, come scherno finale, nei giorni in cui avrebbe dovuto esserci il festival decise di farne un altro di canzoni popolari salernitane, popolari non in senso musicologico, proprio canzoni da Festival di Sanremo.

ADP: Maestro, mi consenta un'ultima domanda. La sua personalità emerge come insofferente ai compartimenti stagni nella cultura. Ha la fama di essere un pensatore controcorrente e refrattario agli schemi, nonché uomo dalle qualità poliedriche. Si è impegnato anche nell'attività di attore, autore e regista teatrale. In questa fervente attività, cosa ama fare per rilassarsi?

QP: Lei ha visto quei miei libricini? Andare avanti con la loro stesura, cercare di raccogliere il più possibile, questo è quello che mi calma. Stare senza far niente per me è impossibile, io dormo quasi niente, di notte sono seduto nella mia poltrona. Quando la mia colf ecuadoregna mi chiede se sono andato a dormire, le rispondo di si e corro a togliere la coperta che ho lasciato sulla poltrona, per non lasciare traccia. Talvolta lei mi rimprovera, dolcemente. Oggi andando via si è raccomandata che mi mettessi le calze elastiche, e ha perfettamente ragione. Quindi mi rilasso proprio in quel modo. I miei libricini sono ormai svariati, sono indietro come stesura ma, per esempio, ce n'è uno che ho appena iniziato, ma già si capisce cosa intendo fare.

 



Alfredo Di Pietro

Dicembre 2024


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