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23. února 2025 ..:: Il cantante al microfono ::..   Přihlásit se
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 Il cantante al microfono Minimalizovat

 

 

Quando Massimo Corvino, direttore di GRooVE back Magazine e di Reference Music Store, mi ha proposto di recensire questo doppio vinile, la prima immagine che mi è venuta in mente è quella che si colloca nella mia vita tra la metà e la fine degli anni '70. Un avvenimento vivido, del quale ancora oggi ricordo molti particolari. In quel periodo davo il mio contributo come conduttore in una radio privata del mio paese, Andria, la quale m'inviò allo stadio di Trani per registrare un concerto di Eugenio Finardi, munito di registratore portatile a bobine. Il concerto fu fantastico, grintoso, pieno di energia e nuovo nelle sonorità. Alla fine dell'esibizione proposi al cantautore un'intervista, che lui con molta gentilezza accettò. Parlammo per circa un quarto d'ora, se la memoria non mi fa difetto, incentrando il dialogo proprio sulla fresca ventata di novità che la sua musica aveva portato nel panorama cantautorale nostrano. Ritornando al presente, questo nostalgico cappello introduttivo mi dà il destro per spiegare innanzitutto qual è l'oggetto della mia recensione. Parliamo della riedizione di "Il cantante al microfono", produzione discografica che vede come protagonista Eugenio Finardi, in prima istanza pubblicata nel marzo 2008 e realizzata insieme all'ensemble strumentale cameristico Sentieri selvaggi diretto da Carlo Boccadoro.

Si tratta in realtà di un vinile originariamente singolo del quale oggi è stato fatto un pregevole "remake". Un progetto fortemente voluto da Marco Lincetto della Velut Luna, sulla base di un remastering mirato ad affinare quanto già all'epoca appariva valido in termini di qualità del suono. L'etichetta veneta oggi ce lo scodella in due LP 180 grammi a 45 giri, annunciato come una vera novità produttiva e ospitato in un elegante "gatefold" che ha al suo interno tutti i testi delle undici canzoni. È bene dire subito che quest'edizione si pone su livelli di qualità sonora di assoluta eccellenza, grazie agli interventi di perfezionamento operati sul master originale, il numero di giri incrementato a 45 e la perfetta planarità offerta dal formato di stampa a 180 grammi. Particolari non ininfluenti sulla dinamica, per esempio, davvero molto elevata, nonché l'assenza dei tipici rumoretti che si possono riscontrare nei vinili, il fruscio e i "tic toc" per intenderci. D'altronde i collezionisti di LP certamente gioiranno nel sapere di poter entrare in possesso di un oggetto che si propone di riferimento, rilasciato in un'edizione limitata a trecento pezzi, ciascuno riportante la numerazione progressiva della stampa. Un album che soddisfa non solo gli analogisti più impenitenti, ma anche chi ha sposato la causa del digitale.

Infatti, insieme al supporto fisico viene consegnato un codice per effettuare il download del file digitale (in PCM WAW 88,2 kHz/24 bit) frutto della copia del master originale. Questi due LP, che potrebbero apparire come una superfetazione a distanza dell'originale, essendo ormai passati diciassette anni, mirano a rinverdire il successo di pubblico e critica che riscosse ai tempi il singolo. Tali e tanti sono stati i riconoscimenti collezionati da eleggerlo a uno dei capolavori della musica italiana, uno per tutti la conquista della Targa Tenco nell'ambito del Festival Tenco, acquisita lo stesso anno della pubblicazione con la motivazione di "Miglior interpretazione italiana". Può essere interessante riandare indietro con la memoria per rinfrescarne la scaturigine. Si ribadisce in primo luogo l'importanza della figura di Marco Lincetto, che si è fattivamente speso per questo progetto non solo in qualità di produttore esecutivo, ma anche d'ingegnere del suono, responsabile del missaggio e coordinatore della produzione. A Carlo Boccadoro va riconosciuta l'idea di partenza, un nome sicuramente noto nell'entourage musicale, pianista, compositore, musicologo e direttore del gruppo strumentale Sentieri selvaggi.

È stato in seguito elaborato un vero e proprio lavoro di squadra che ha coinvolto anche il compositore Filippo del Corno, curatore dei nuovi arrangiamenti di stampo classico, e il già citato gruppo strumentale cameristico Sentieri Selvaggi, fondato nel 1997 da Carlo Boccadoro, Filippo Del Corno e dal giornalista Angelo Miotto. Ma i contorni della narrazione assumono maggior definizione con l'aggiunta di ulteriori imprescindibili particolari, come il titolo dell'album, che corrisponde alla traduzione in italiano fatta da Sergio Secondiano Sacchi dell'originale in russo del brano omonimo di Vysotskij. Dalla sua produzione cantautoriale e poetica lo stesso Secondiano Sacchi e Finardi hanno estrapolato undici brani. Il cantante al microfono 2025 è dunque frutto di una registrazione fatta negli studi Velut Luna di Preganziol, una produzione che per mettere d'accordo i tanti impegni di tutti è stata realizzata in soli cinque giorni, subito prima del Natale 2007. Il rilascio sul mercato è poi avvenuto alla fine del gennaio 2008, prima in sola versione CD e successivamente in una prima edizione in vinile standard 33 giri, per un totale di cinquecento copie che sono andate quasi subito esaurite.

Con l'odierna edizione si ravvivano le emozioni di diciassette anni fa, rivitalizzando un magnifico percorso artistico, oggi fissato in una seconda immagine dove è stato fatto un maniacale lavoro in direzione del perfezionamento del master originale. Interventi certamente non invasivi che giustificano la presa di possesso di questa nuova pubblicazione da parte degli appassionati che già hanno eventualmente quella del 2008. Potremmo considerare questo disco come "teatrale"? Sicuramente, non solo dal punto di vista artistico ma anche da quello della sua alba ideativa. È stato nel teatro dell'Elfo, infatti, che Filippo del Corno durante una pausa lavorativa ha conversato con il regista Elio De Capitani sulla mitica figura di Vladimir Vysotskij, vero epicentro di questo lavoro. Artista dal vissuto sofferto, in un'epoca brezneviana fortemente insofferente - e repressiva - nei confronti di ogni pensiero che fosse in contrasto con il temibilissimo apparato burocratico del PCUS. Un artista che è riuscito nella non facile impresa di cavare dalla sua afflizione una poesia autentica, palpitante, espressa in tante intense e mai banali canzoni. Nato a Mosca nel 1938 e in questa stessa città scomparso nell'estate del 1980, è stato un cantautore, attore, poeta e dissidente sovietico, considerato uno dei maggiori cantautori dal secondo dopoguerra a oggi.

Nel 1960 galeotto fu l'incontro con il poeta e cantante Aleksandr Galič, una conoscenza che lo indusse a dedicarsi alla chitarra, così iniziò a comporre e cantare canzoni sui diseredati, gli sconfitti dalla vita che però non hanno alcuna intenzione di arrendersi. Risale al 1961 la composizione della sua prima canzone, contemporaneamente iniziarono a circolare le sue registrazioni artigianali su musicassetta. Vysotskij le realizzava di nascosto, su un supporto che, per quanto considerabile a bassa qualità audio, aveva il vantaggio di essere più facile da diffondere e duplicare, immesso poi in un circuito sostanzialmente clandestino, poiché Vladimir era persona invisa al regime. Tali musicassette mal si conciliano ovviamente con l'eccellenza qualitativa raggiunta oggi da questo doppio LP, anche se in virtù del loro essere di caratura "Low-Fi", o forse proprio per questo, proiettano le sue poesie in musica in uno scenario rude quanto ammantato di leggenda, cogliendo a mio parere in modo singolare la cifra espressiva dell'autore. In alcuni video su YouTube si può ascoltare la voce graffiante di Vladimir Vysotskij, la pennata quasi rabbiosa sulla chitarra, quasi a voler scaricare, evocandola, l'insostenibile tensione di un animale braccato.

Tali video sono interessanti anche per un'altra ragione: danno contezza di quanto sarebbe inopportuno un confronto diretto tra Vysotskij e Finardi. Nei due vinili il cantautore milanese non si avventura in stereotipate emulazioni o epigonismi, piuttosto emerge la sua forte personalità, quella di un artista che ha avuto l'abilità e la schiena dritta di rielaborare tutto il materiale indossandolo come un abito fatto su misura per lui. Questo gli va riconosciuto, anche perché la sua interpretazione è omogenea con il vissuto artistico che gli è proprio, sempre oscillante tra grinta ed estrema tenerezza, simbolizzato in canzoni come per esempio Musica ribelle e Non è nel cuore. Questi i suoi due poli espressivi. Gli eventi politici nell'Unione Sovietica portarono a misure drastiche, che di fatto boicottavano l'operato di quegli artisti che non si mostravano obbedienti alle direttive governative. Avvenne anche con Vysotskij, ostacolato nella sua espressione e non ammesso all'Unione degli scrittori. Fu un dissidente le cui musicassette registrate sotto banco e con mezzi di fortuna venivano fatte poi girare con il passa parola. Tuttavia, nonostante queste modalità clandestine il suo nome e la sua arte divennero molto noti in Russia, essendo amato e riconosciuto come un autentico eroe del popolo.

Già nel 1979 la sua fine si avvicinava a grandi passi, in quell'anno rischiò di morire per una crisi cardiaca, dovuta a una salute minata dagli eccessi alcolici cui si aggiungeva la dipendenza dalla morfina. Il 25 luglio 1980 Vladimir Vysotskij morì per un arresto cardiaco. Testimonianze dell'epoca riportano che nell'estate di quell'anno, in occasione del suo funerale, senza che ne fosse stata data notizia alla popolazione, centinaia di migliaia di persone si radunarono per rendergli un sentito omaggio. La sua poetica s'intreccia con quella di Eugenio Finardi in modo talmente credibile da non lasciare quasi adito a soluzioni di continuità, se non quelle che ci possono essere tra due artisti non disposti a cedere un grammo della loro peculiare indole. È questo il vero "miracolo" di Il cantante al microfono, quello cioè della felice fusione tra due rilevanti personalità artistiche senza che l'interprete di oggi, Finardi appunto, sia sceso a compromessi con la sua autenticità. Non un'assoluta novità per il cantautore meneghino la poetica di Vysotskij, giacché nel 1993, nell'album tributo "Il volo di Volodja", contenente brani del cantautore russo tradotti, riarrangiati ed eseguiti da un gruppo di artisti, lui aveva già dato il suo contributo con la canzone "Dal fronte non è più tornato" e "Il canto della terra" (questa in compagnia di Marina Vlady).

Una registrazione, ricordiamo, che ruotava intorno al Premio Tenco edizione 1993, dedicata proprio all'autore moscovita. Sarebbe ingiusto a questo punto non citare il fondamentale contributo del gruppo cameristico Sentieri selvaggi, che in questa registrazione emerge in tutto il suo valore, sottile alchimista impegnato nell'espansione dell'armonia e nella moltiplicazioni delle voci strumentali, con il risultato di un notevole ampliamento prospettico rispetto alla nuda chitarra di accompagnamento del cantautore moscovita. Un apporto che riveste i brani di maggior autorevolezza e profondità espressiva, anelando a un rapporto paritario tra la musica e la poesia. Ad assolvere al prezioso compito di trascrizione delle canzoni per voce ed ensemble è stato Filippo del Corno. Il carisma e l'intenso timbro vocale di Eugenio Finardi hanno poi fatto il resto, in un percorso non agevole né tantomeno sbrigativo, caratterizzato da una fase di prima sperimentazione su alcune canzoni e dei concerti di prova con il gruppo. Progetto di largo respiro, va da sé che non ha potuto limitarsi al solo disco, allargandosi anche all'ambito delle esibizioni dal vivo con una tournée di eventi che ha fatto tappa al Festival della letteratura di Mantova, a Roma, Milano e in alcuni teatri svizzeri.

La profonda voce di Finardi carica di urgente drammaticità questi brani, ne esalta le dinamiche che oscillano tra un arrovellato esistenzialismo e momenti di schietta, forse amara, ironia (Ginnastica). Nella loro versione originale queste canzoni sono accompagnate da una musica che forse non ha dignità di comprimaria delle potenti emozioni accese dalle liriche, queste si le vere protagoniste, anche se nel suo serrato procedere contribuisce non poco a creare un clima di angoscia, che in altri momenti trova il suo reverse in una sapida ironia. Su tutto si avverte la pressione di un incessante movimento: nulla è fermo, statico in queste canzoni, ma ognuna ha una grande mobilità, in molte si manifesta l'urgenza di fuggire, di scappare da qualcosa di triste, avverso e buio. Se cercate un ascolto distensivo lasciate perdere quest'album. Ogni canzone, nessuna esclusa, è foriera di una tensione imperiosa e costante, immaginate la marcia di un soldato che si avvia verso una guerra che non sa se sarà gloriosa o esiziale per lui, o un individuo tallonato da un animale che non lo lascia nemmeno respirare. La cocente umanità di cui è intrisa ogni poesia trova a mio parere dei larvati (ma neanche tanto) riscontri in certa letteratura mahleriana, in cui il grande sinfonista tardoromantico accolse sotto le sue gigantesche ali le ragioni degli sconfitti dalla vita e dalla storia.

Un'opera su tutte il ciclo liederistico Des knaben wunderhorn. Dei parallelismi si possono fare tra Revelge (La sveglia) e L'orizzonte, medesima l'ansia generata dal pericolo lungo un percorso pieno d'insidie, oppure Lied des Verfolgten im Turm (Canto del prigioniero nella torre) e Il canto della terra, accomunati dall'urgenza e la speranza di un domani dove il libero pensiero possa aver diritto di cittadinanza. Oppure l'accorata canzone Dal fronte non è più tornato, suggestiva di profonde risonanze con Wo die schönen Trompeten blasen (Là dove squillano le belle trombe), il dolore dell'amata per la perdita del suo fidanzato, morto in guerra, trasfigurato da visioni oniriche e terrestri. Un'altra è cartina al tornasole di certe raffinatezze di pensiero, parlo proprio di Il cantante al microfono. Nel verso "Sembro in vetrina e sto su una rotaia" c'è la discrasia tra ciò che appare al pubblico e la condizione interiore dell'artista; l'impietosa "obiettività" dei mezzi tecnici: "È che al microfono io faccio pietà. La mia voce può provocare orrore e alla prima stecca che farà quella carogna amplifica l'errore"; l'insofferenza verso una ribalta che provoca fastidio e disagio: "Mi soffoca e mi opprime la ribalta. Il riflettore preme e poi mi assalta.

Con questa luce che mi acceca già. Che caldo fa, che fa, che fa". In quest'album la poesia arriva diretta al cuore come una penetrante, scintillante lama d'acciaio, non è una poesia di regime o un'arte "borghese", come ebbe a definirla il grande Carmelo Bene, ma il suo esatto opposto. Si rivela nuda e cruda, non nascondendosi mai dietro ammorbidimenti o imbellettamenti di sorta. Ancora una volta v'invito a sentire l'originale, quel Vladimir Vysotskij dalla voce tagliente che si offre senza schermo alcuno agli altri. Questo Eugenio Finardi e il gruppo Sentieri selvaggi lo ha capito molto bene e, di riflesso, lo fa comprendere bene anche a noi che ascoltiamo quest'album capolavoro. Il cantante al microfono è un pregiato doppio album che si affaccia sul mercato con il carisma della singolarità, irrompe da alieno nell'attuale panorama discografico. Citando le stesse parole di Eugenio Finardi, da lui profferite nel corso di una recente intervista, ci troviamo in presenza di una musica "Senza tempo ma con una precisa collocazione geografica e un profondo senso della storia, testimone della musicalità di un personaggio straordinario. Un progetto che rappresenta un felice connubio tra la musica contemporanea e una popolare molto poco complessa ma profonda a livello di contenuti e interpretazione." Una sorta di macchina del tempo molto particolare, che trasporta nella Russia anni '80 assiemando una dolorosa contingenza temporale con principii umani di eterna validità.


Alfredo Di Pietro

Febbraio 2025


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